È indispensabile conoscere i bias per scrivere copy?

Condividi questo articolo

A prescindere dalla stazza, una persona che entra armata in banca senza neanche impegnarsi a nascondere l’arma, è difficile da non notare.

Non che questo sia un problema…

Come i migliori film crime ci insegnano, ciò che interessa a un rapinatore non è non essere visto, bensì non essere riconosciuto.

Questo era l’obiettivo di McArthur Wheeler, un rapinatore che il 19 aprile 1995 colpì due banche di Pittsburgh in pieno giorno.

Le telecamere di sicurezza avevano ripreso le immagini della rapina ma, contrariamente a quello che anche la polizia si sarebbe aspettato di vedere (un uomo con indosso almeno una maschera, un paio di occhiali o un passamontagna), il volto del delinquente era scoperto.

Le registrazioni vengono fatte trasmettere al telegiornale locale delle undici e in men che non si dica, qualcuno riconosce il rapinatore e contatta le autorità!

McArthur Wheeler era sconvolto dal fatto che fossero riusciti a rintracciarlo.

Il tuo primo pensiero di fronte alla reazione del rapinatore potrebbe essere “Zio, se entri in una banca, che ha telecamere di sicurezza e non hai neanche berretto e occhiali da sole… che ti aspetti di diverso?

Peccato solo che il nostro amico fosse… convinto di essere invisibile.

O meglio, aveva cosparso il suo viso con succo di limone che, oltre a vantare eccelse proprietà astringenti e donare un delizioso aroma agrumato… era convinto rendesse il volto invisibile alle telecamere.

Premessa doverosa: Wheeler non era sotto l’effetto di droghe e non aveva rotelle fuori posto.

Era solo incappato in un errore di correlazione.

L’uomo raccontò che qualche settimana prima un suo amico gli aveva fatto scoprire l’inchiostro simpatico.

Se scrivi su un foglio con un pennino intinto nel succo di limone, la scritta resta invisibile fino a quando non la avvicini ad una fonte di calore.

Il rapinatore (genio immenso) dedusse che se si fosse coperto il volto con il succo di limone, la sua faccia sarebbe stata invisibile agli occhi delle telecamere, a condizione che non si avvicinasse a termosifoni e phon.

E prima di fare una rapina, du’ prove non ti è venuto in mente di farle?

Sì. Gli era venuto in mente.

Aveva scattato un selfie con una Polaroid e non aveva visto nessun volto nella foto!

A quei tempi farsi un selfie era molto più complicato di adesso, così Wheeler aveva sbagliato a puntare la fotocamera e aveva fotografato il soffitto.

In ogni caso, la foto era la prova che stava cercando. Per lui, confermava la sua invisibilità.

Questa assurda vicenda, finita nel World Almanac del 1996, arriva tra le mani di David Dunning, un professore di psicologia sociale della Cornell, che viene colto da un’epifania. 

Se Wheeler era troppo stupido per essere un rapinatore di banche, forse era anche troppo stupido per sapere che era troppo stupido per essere un rapinatore di banche.

In altre parole, la sua stupidità lo proteggeva dalla consapevolezza della propria stupidità.

Tra pochissimo ti dirò le ragioni scientifiche che rendono sensata la frase che hai appena letto.

… Ma prima volevo dirti perché ti ho raccontato quest’allegra storiella (no, non era solo per farci due risate).

A causa di un bias, un uomo è approdato a una conclusione che pare una barzelletta. Ma era talmente sicuro della sua ragione, da fare una rapina a volto letteralmente scoperto.

È un palese esempio di quanto tutti noi siamo convinti della sensatezza dei nostri ragionamenti, anche se agli occhi di altri le nostre decisioni possono sembrare assurde.

Lo stesso vale per i tuoi clienti.

A volte pensi di aver fatto tutto ciò che era in tuo potere per attirarli, fargli conoscere la validità del tuo prodotto o servizio, rassicurarli su quanto farebbero bene a fidarsi di te.

Se, nonostante tutto, i risultati scarseggiano, sono sicuro che nel copy del tuo materiale di marketing manca un profondo lavoro di “disinnescamento” dei bias che spingono il tuo potenziale cliente verso una direzione opposta alla tua.

Quando i tuoi contenuti di marketing vengono scritti senza tener conto dei meccanismi psicologici profondamente radicati nel cervello del tuo cliente, semplici belle parole non ti basteranno: i bias sono più forti e hanno iniziato a influenzare le scelte dei tuoi lettori molto prima rispetto al tuo marketing.

Il secondo motivo per cui ti ho raccontato questo aneddoto riguarda tutti i professionisti (e non) che si proclamano esperti. Lo sono davvero o sono anche loro sotto l’effetto dello stesso bias che aveva portato Wheeler a “coprirsi” col succo di limone?

La risposta ti sarà chiara entro fine articolo!

Tornando ai nostri scienziati, il Prof. Dunning, con l’obiettivo di capire se fosse possibile misurare il proprio livello di competenza autovalutato rispetto a qualcosa di un po’ più obiettivo, tipo la competenza effettiva, organizza un programma di ricerca con un Justin Kruger, suo studente.

Effetto Dunning-Kruger: il bias dell’incompetente che si mette la corona da solo 

I risultati dello studio vengono presentati nella loro pubblicazione Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments (Non qualificati e inconsapevoli: come le difficoltà di riconoscere la propria incompetenza portano ad autovalutazioni gonfiate).

Hanno interrogato gli studenti universitari di psicologia su grammatica, logica e barzellette e poi hanno chiesto a ognuno di stimare sia il proprio punteggio sia quanto bene fossero andati rispetto agli altri (su base percentile).

  • Gli studenti che hanno ottenuto il punteggio più basso avevano nozioni molto esagerate di quanto bene avessero fatto. 
  • Coloro che hanno ottenuto un punteggio vicino al minimo, hanno stimato che le loro abilità erano superiori a due terzi degli altri studenti.
  • Coloro che hanno ottenuto punteggi più alti, come ci si poteva aspettare, avevano percezioni più accurate delle proprie capacità.
  • Il gruppo che ha ottenuto il punteggio più alto ha leggermente sottovalutato le proprie prestazioni rispetto agli altri.

Come hanno osservato i ricercatori, l’unico modo per sapere quanto bene hai fatto su un quiz grammaticale è conoscere la grammatica.

Coloro che non avevano quella conoscenza erano anche meno in grado di valutare la loro conoscenza. 

Erano ignari della propria ignoranza.

Ogni giorno in sponsorizzate Facebook, annunci su Google o pubblicità prima dei video YouTube c’è un esperto che si presenta ed è pronto a condividere con te i suoi segreti, il suo sapere enciclopedico.

Qualcuno li considera dei guru, soprattutto se sono sul mercato da più tempo.

Qualcuno li considera dei giovani visionari.

Molti altri li considerano professionisti improvvisati.

Chi si trova a un livello principiante e si vende come esperto a prescindere da risultati ottenuti ed esperienza sul campo, può farlo per semplice arroganza o perché è sotto l’effetto Dunning-Kruger.

Ecco cosa serve alla tua azienda per non cadere vittima del bias dell’incompetenza

I due ricercatori, per le loro indagini, si sono basati su una valutazione oggettiva e che non fosse autoreferenziale.

Nel mondo imprenditoriale quella referenza esterna è rappresentata dalle testimonianze: a prescindere da quanto tu ti creda bello e bravo, resta pur sempre una tua autovalutazione e potrebbe non avere alcuna corrispondenza con la realtà.

È per questo che danno un’idea molto più credibile a chi non ti conosce in merito ai risultati che prometti.

E i tuoi clienti lo sanno bene.

Per alcuni, chiunque potrebbe essere in mala fede e tessersi le lodi da solo.

Per altri, a prescindere da eventuali conoscenze enciclopediche dei bias, l’autocelebrazione del proprio prodotto, servizio e modus operandi può essere un sintomo dell’innamoramento verso la propria azienda.

È per questo che al tuo pubblico serve un riscontro da parte di terzi per essere certo che le tue parole non siano solo marketing distillato.

Allo stesso modo, serve anche a te per sentirti tranquillo che quando guardi con gli occhi a cuoricino ciò che hai messo in piedi, non stai volando a km di distanza dalla realtà.

Nella stessa famiglia delle testimonianze, ma con meno dettaglio e profondità, rientrano le recensioni.

A questo proposito, se ci hai fatto caso, tendono a essere molto positive o molto negative.

Opinioni ottime e pessime: cosa è successo alla terra di mezzo?

Secondo uno studio condotto dalla Harvard Business Review (HBR) sulla qualità delle recensioni di Yelp, Tripadvisor, Facebook, Google, e Glassdoor, le opinioni “nella media” non sono rappresentate e il motivo ipotizzato è semplice:

“Se hai avuto un’esperienza moderata, è probabile che tu non abbia lasciato alcuna recensione, ritenendo che non ne valesse il tempo e lo sforzo.”

A meno che una persona non abbia davvero amato o odiato l’esperienza, è improbabile che si metta a recensire un’attività. Questo tipo di polarizzazione può però portare altri ad avere opinioni fuorvianti.

In merito all’affidabilità delle recensioni, si è pronunciato anche il MIT, suggerendo che le recensioni siano sistematicamente distorte o facilmente manipolabili per colpa della riprova sociale che influenza una penna sul punto di lasciare un commento.

Le persone, sotto il potere delle parole degli altri, vengono colte dalla tendenza a voler mostrare un comportamento “corretto” in una determinata situazione.

Tradotto con un esempio, vuol dire che una persona che vuole scrivere la sua su un ristorante thailandese con 200 recensioni e una media di 4,8 stelle su Yelp, ha poche probabilità di andare controcorrente e spiattellare un’opinione contrastante con i pareri positivi della maggioranza. È probabile che scelga di dire lo stesso degli altri commensali.

Il rapporto del MIT più precisamente dice:

“Il nostro istinto da gregge – ovvero il naturale impulso umano caratterizzato da una mancanza di processo decisionale individuale – ci fa pensare e agire allo stesso modo delle altre persone intorno a noi.”

Se finora pensavi che la riprova sociale delle recensioni servisse solo a far capire a un potenziale cliente quanta altra gente ha già comprato da te e farla sentire serena, in realtà c’è da considerare l’altra faccia della medaglia.

Sono le recensioni stesse a influenzare ciò che le persone pensano di dover recensire

Qualcuno chiama questa influenza Online review bias. Ci sono ancora troppi pochi studi al riguardo, ma a prescindere dal nome, è semplicemente un angolo diverso per inquadrare il bias di conformità, solo più specifico per le recensioni online.

Il ristorante numero 1 di Londra… che non è mai esistito

Basta pensare alla storia di Oobah Butler che, prima di entrare nello staff di Vice, per un periodo scriveva su commissione recensioni per ristoratori. 

Dopo aver monitorato l’effettiva salita del posizionamento dei ristoranti per cui scriveva, gli è venuta la scimmia di trasformare il suo capannone nel ristorante numero uno di Londra.

Non si riferiva a metter su una vera attività: voleva farlo solo sulla carta. Anzi, su Trip Advisor.

Nell’aprile 2017 registra il posto senza civico, per dare mistero ed esclusività.

Carica foto di piatti gourmet accuratamente impiattati (in realtà non erano neanche alimenti: spugne imbevute di coloranti, schiuma da barba, dischetti di detersivi).

Inizia la corsa alle recensioni di amici e parenti e pian piano il ristorante si fa strada nella classifica.                                   

“La prenotazione obbligatoria, la mancanza di un indirizzo specifico e il suo carattere esclusivo sono così attraenti che la gente non ci sta nemmeno a pensare. Ha l’acquolina in bocca. Nei mesi successivi, il telefono dello Shed non smette mai di suonare”

Butler è costretto a rispondere a clienti da tutto il mondo e dire di avere tutto pieno già per mesi. 

Persino cuochi e camerieri inviano i loro curriculum. 

Il 1 novembre 2017, The shed at Dulwich conquista la vetta

Quello che fa ancora più ridere (o pensare) è che una sera il capanno è davvero stato allestito come ristorante, ed è stato servito del cibo vero, preparato da uno chef, ma pur sempre cibo preconfezionato, di bassa qualità e congelato.

Ecco la conclusione di Mr. Butler in merito a tutta questa messa in scena:

“Ho invitato delle persone a mangiare in tavoli a caso fuori dal mio capanno, e se ne sono andate pensando che fosse davvero il miglior ristorante di Londra, basandosi esclusivamente su TripAdvisor.”

Se volete, potete vederla in modo cinico—sostenere che l’odore di internet è talmente forte che le persone non riescono a usare in modo appropriato i sensi o il cervello. Ma a me piace essere positivo. Se sono riuscito a trasformare il mio giardino nel miglior ristorante di Londra, tutto è davvero possibile”.

Lui è stato poetico, con quel romantico “tutto è possibile”.

Io, che tanto poetica non mi sento, vedo soprattutto che i bias sono riusciti a far percepire del cibo dozzinale come l’opera di chef da ristorante top di una delle principali città del mondo.

…E che se le opinioni dei consumatori possono far scalare le vette a un ristorante inesistente, pensa che manna dal cielo possono essere per la tua attività.

Le opinioni degli altri hanno un peso nelle scelte dei tuoi clienti, che a te piaccia o meno: se i tuoi hanno avuto esperienze positive con te, chiedere loro di condividerle è l’inizio per mettere in leva l’ottimo lavoro che hai già fatto.

Noi lo facciamo, e sono sicuro che se ancora non abbiamo lavorato insieme, leggere cosa pensano di noi imprenditori che prima di te ci hanno scelto per la stesura dei loro materiali di marketing, vale mille mila volte di più di me che sto qui a sciorinare dati su quanto i bias manipolino a caso le decisioni dei tuoi clienti.

E, per rispondere alla domanda lasciata in sospeso, l’unico modo che hai per distinguere un esperto nel proprio lavoro da un novellino che si è autoincoronato è mettere al vaglio i numeri e i risultati raggiunti dai suoi clienti.

I nostri li trovi qui

Come diciamo sempre in questo blog, i bias agiscono nel cervello di tutti: il mio, il tuo e quello del tuo cliente.

Puoi lasciarli lavorare a ruota libera o imparare a usarli nel tuo copy per accompagnare i tuoi clienti nel loro processo decisionale.

Se vuoi iniziare subito a metterli in leva, possiamo darti una mano a farlo!

Qui trovi il form contatti per la tua prima call gratuita con noi.