Arte e marketing: il mix letale per attrarre clienti

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Passerei ogni sera davanti a un film.

Storie coinvolgenti.

Coperta.

Pizza napoletana.

Insomma, grazie a tutti i registi di esistere e dar vita a una delle mie espressioni artistiche preferite.

Uscendo dal mio intrattenimento personale, quello che in questa sede mi chiedo è perché menti con talenti nel creare storie memorabili vengono chiamate in causa in un mondo che con l’arte ha poco a che fare.

Mi riferisco al mondo della pubblicità.

Prendiamo Muccino. 

Regista pluripremiato. Successoni in Italia e in America. Ha messo in piedi film come Sette Anime, La ricerca della felicità, L’ultimo bacio.

Chapeau

Chiamato alla modica cifra di 1 milione di euro per girare uno spot per la regione Calabria, dà vita a quello che sembra un remake in atmosfera Il Padrino ambientato tra spiaggia e aranceti.

Ho visto video di risposta creati da giovincelli anonimi che mi hanno fatto venire voglia di riconsiderare la mia vita nelle isole più belle e remote del mondo per fare un salto più lungo in Calabria. E per inciso, in Calabria ci sono pure cresciuta.

Ora, è chiaro che non sono in discussione le competenze tecniche e il peso artistico di  un regista. 

E ci mancherebbe pure, detto da una che il massimo che sa di videomaking è schiacciare il tasto rec. sul cellulare.

Il punto è un altro.

Polemiche, offese e soldi sfracellati nel nulla sono la triade che prende vita quando presti il mondo dell’arte al mondo della pubblicità.

Arte e marketing comunicano attraverso canali e metodi diversi. 

Uno è creativo, l’altro è scientifico. O per lo meno, dovrebbe esserlo.

… Soprattutto per un’azienda che non ha voglia di pagare un milione per poi dover spendere chissà quanto di PR, interventi di riparazione d’immagine e contro campagne per arginare i danni causati da uno spot interpretato come offensivo da troppe persone.

Per argomentare con dati più concreti userò l’esempio più recente dell’ultimo spot del Parmigiano Reggiano.

La campagna consiste in sei spot da trenta secondi ricavati dal film Gli Amigos di Paolo Genovese. 

Il regista ha creato un mediometraggio con il linguaggio di un film e alcuni spezzoni sono stati ritagliati e usati come spot.

Per chi se l’è perso, la scena incriminata riprende un giro nel dietro le quinte della produzione del formaggio nostrano venduto e ricercato in tutto il mondo.

Il vero valore aggiunto del prodotto finale, come ogni prelibatezza che si rispetti, è l’amore.

In questo caso, l’amore di Renatino.

… Che, per prendere lo script alla lettera, lavora 365 giorni all’anno da quando aveva 18 anni. 

Non ha mai visto il mare. Mai andato in vacanza.

È felice così ed è questo quello che dice al gruppetto di ragazzi affascinati da tanta dedizione. 

La pubblicità si conclude con fanciulli che gustano il formaggio in un bel pic nic… alla faccia di Renatino che sarà rimasto incatenato in fabbrica a controllare il caglio.

Lo spot ha suscitato un polverone simile a quello che troveresti sotto a un tappeto steso sulle dune del Sahara.

Ah. Dimenticavo. Investimento complessivo di oltre 4 milioni di euro per 4 mesi di messa in onda. 

Non entrando in commenti di natura sociale, a noi questo spot può essere utile (così come potrebbe esserlo una qualsiasi campagna che nella storia ha suscitato offese e polemiche di ogni sorta) per ribadire un concetto che non è affatto nuovo in queste pagine di blog.

Ed è il seguente.

Nel bene e nel male, una PMI italiana non dovrebbe mai prendere esempio o monito dalle grandissime aziende con un brand solido quanto le falde del Kilimangiaro.

Potremmo andare a guardare tutti i dati di campagne di multinazionali che hanno urlato allo scandalo e cercare riferimenti:

  • di come lo scivolone abbia causato cali nelle vendite nel breve termine;
  • di come, dopo anni, quella sonora caduta su buccia di banana gigante, nonostante ingenti perdite, non abbia determinato il fallimento dell’azienda. Soprattutto se si è intervenuti per tempo.

Solo su questi due punti ci sarebbe materiale sufficiente per dibattiti che andrebbero avanti per mesi.

Ma se non sei il CEO di queste aziende, a parlare di loro pour parler, non te non torna in tasca niente.

A te interessa solo farti tre domande.

  1. Se quella scivolata la fai tu, il tuo brand è talmente forte da reggere il colpo?
  1. Le tue casse sono abbastanza folte da poter intervenire quanto prima e arrestare un’emorragia in corso?
  1. Se spendi le cifre che costano queste pubblicità artistiche, il tuo fegato regge all’idea che non ti hanno portato neanche un nuovo cliente?

Se la risposta è sì, il resto dell’articolo per te è superfluo. 

Chiudo il sipario, grazie lo stesso per l’attenzione!

Se la risposta è no, ti consiglio di continuare a leggere.

Se stai pensando di portare avanti campagne artistiche basando i tuoi testi su messaggi fraintendibili da una grossa fetta del tuo pubblico, ti servirà appuntare tre dinamiche a cui dare priorità quanto stai buttando giù la tua campagna marketing.

I tre parametri da mettere nero su bianco prima di scrivere anche un “ciao”

Le parole di un messaggio pubblicitario vanno scelte e pesate tenedo 3 punti ben chiari:

  • a che pubblico ti rivolgi;
  • che obiettivo vuoi raggiungere con queste;
  • qual è il posizionamento da creare e/o rafforzare.

Vediamo come puoi mettere in pratica i tre punti per evitare di creare fraintendimenti che servono solo a buttarti la zappa sui piedi, lasciando cicatrici che impiegano tempo a risanare.

1) A che pubblico ti rivolgi?

Partendo dal primo punto, se il tuo messaggio sarà interpretato male non puoi di certo saperlo prima.

Di solito, come per ogni scivolone, si scopre quando ormai il danno è fatto e iniziano a sbraitarti le iene addosso per messaggi che tu sei convinto di non aver mai dato.

Intanto, continuando a usare il caso di Renatino, stando alla logica e alle dichiarazioni dell’azienda, l’intento era quello di sottolineare la grande passione e l’impegno di chi, ogni giorno, produce il Parmigiano Reggiano.

E non solo.

Il famoso formaggio viene veramente lavorato ogni giorno per seguire il ciclo produttivo che lo contraddistingue, ma dirlo tale e quale sarà sembrato un pelo asettico. 

Ecco la soluzione. Perché non usare Renatino come metafora cinematografica?

Gli facciamo dire che lavora 365 giorni all’anno, tanto nessuno lo prenderebbe mai alla lettera come altre espressioni tipo “te l’ho già detto un milione di volte!”, “arrivo in un paio di secondi”, “andiamo a berci un goccio”, “vado a fare quattro passi”.

… Eppure non è l’interpretazione che è andata per la maggiore.

Se in Italia un’ampia parte del pubblico si dedica a migliorare le condizioni del lavoro dipendente, stupisce poco che non piacerà la metafora che hai scelto per rappresentare il concetto di dedizione, passione e cura quotidiana del formaggio.

Che tu, da imprenditore, ne condivida la mentalità o trovi questo gruppo di persone una manica di mentecatti sindacalisti, fanno comunque parte della tua fetta di clientela.

Proprio per prevenire fraintendimenti che mai avresti pensato prendessero vita tra persone con un cervello diverso dal tuo, esiste uno strumento salvifico: l’analisi di mercato.

È lei che ti saprà dire se l’idea che a te piace tanto si sposa con il tuo pubblico.

Per lo spot di Genovese possiamo azzardare tre ipotesi.

  1. L’analisi del target è stata poco precisa, e ha tralasciato quella fetta di clienti che non vede la vita di Renatino come una metafora di dedizione a una grande causa, ma come un’immagine di sfruttamento da promuovere e ammirare.
  1. Si era coscienti della possibile reazione e si è proceduto ugualmente per dare visibilità e viralità all’annuncio, a discapito dell’immagine del brand. Per la serie “purché se ne parli…
  1. L’altra opzione, la più probabile, è che si sia optato per una comunicazione dall’approccio esclusivamente artistico-creativo e non scientifico.

Alias, l’analisi del target è stata balzata a pié pari.

così

Quello che ti interessa è che se ti fai il mazzo per fatturare e investi nel marketing per avere clienti e convincerli a comprare, farli incazzare non è la via più intelligente per avvicinarti al tuo obiettivo.

… E il primo modo per evitare di suscitare reazioni indesiderate nel tuo pubblico, è conoscerlo quel pubblico.

2) L’obiettivo da raggiungere con le tue parole

Il secondo criterio di scelta delle parole di un messaggio pubblicitario riguarda l’obiettivo che vuoi raggiungere. 

Diamo per scontato che inviare un messaggio di esaltazione dello sfruttamento non fosse la reale intenzione dell’azienda.

Voglio dire, se era tutto pensato davvero per promuovere la cultura dello sfruttamento volontario e far infuriare mezza Italia… Beh, in quel caso il copy è perfetto per l’obiettivo e per il target. 

Caso concluso lato copy, l’udienza è tolta.

Per proseguire, prendo in prestito il commento tecnico di un caro esperto di marketing sul mercato.

Maurizio Crozza.

“Due sono le cose. O Renatino con gli straordinari si è comprato il caseificio ed è diventato lui il signor Parmigiano, oppure quello non è uno spot: è un’ammissione di reato… e se ci fosse ancora la sinistra a metà spot entrava Landini con una roncola e trasformava quella simpatica réclame in una tragedia shakespeariana.

Nessun imprenditore si auto denuncerebbe in Italiavisione, spiattellando che contratti e normative le usa al posto della carta igienica. 

Chi ha messo giù il testo della pubblicità, avrà pensato qualcosa tipo:

Zio, ma sarà scontato che è solo un modo per dire che qui si lavora tanto, bene e con tanta voglia? Solo che se lo dico così, che storytelling è?”

Vero. 

Infatti il messaggio di passione e dedizione passa un pelo più chiaro se fai dire a Renatino che preferisce monitorare le bacinelle di latte invece che farsi agosto a Gallipoli, visitare il Colosseo nel weekend o portare sua moglie a vedere la Tour Eiffel per il suo compleanno.

Ammesso che non abbia anche sacrificato la sua vita sentimentale in nome del caglio!

Quasi vedo le nuvolette dei fumetti sulla testa dei creatori dello spot. 

“Mica qualcuno mi prenderà mai alla lettera?”

Il bias che ti fa cadere dal pero: false consensus effect

Un ragionamento come quello sopra lo facciamo davvero tutti, senza neanche esserne consapevoli.

Pensa a quante volte ti sarà capitato di avere un fraintendimento o di vedere in qualcuno una reazione diversa da quella che ti aspettavi.

Il nostro cervello è naturalmente spinto a sopravvalutare la sensatezza del nostro modo di leggere il mondo.

Vediamo le nostre scelte come le più appropriate alle circostanze.

È il bias del falso consenso.

Chi si assomiglia si piglia. Il che vuol dire che i membri di un gruppo hanno dei modi di pensare simili e raramente incontrano qualcuno che lo contesta. 

È così che la nostra mente si abitua a credere che tutti la pensano allo stesso modo. 

Inoltre, di fronte all’evidenza che non esiste un consenso, è più facile che il nostro cervello assuma che chi non è d’accordo abbia qualcosa che non va. 

Per una parte di italiani, chi ha interpretato lo spot secondo intenzioni di promulgazione della cultura dello sfruttamento è un esagerato, sindacalista, bipede privato della materia grigia per cogliere metafore. 

Un’altra parte fa notare che il messaggio che passa è che se non hai altri interessi nella vita che passare ogni giorno, senza eccezione, a lavorare… “sei un grande, il meglio”.

E a te non serve sapere chi ha ragione. 

Ti serve sapere che tra il tuo pubblico ci sono persone con modi di interpretare la stessa frase in modo diverso dal tuo e che ti tocca scegliere le parole secondo un approccio più scientifico e meno creativo, se vuoi evitare scontri aperti con chi volevi conquistare.

3) Il posizionamento e la Prova del Nove per capire se è differenziante

Passiamo al terzo e ultimo punto. 

Qui si chiude il riferimento al formaggio, che è posizionato come uno dei prodotti caseari d’eccellenza del made in Italy e di pubblicità non avrebbe neanche bisogno per continuare a vendere in Italia e nel mondo.

Se sei nella fase in cui stai pensando a qual è il posizionamento da sottolineare e ribadire nel tuo marketing, prima che ti lanci sull’alta qualità del prodotto o l’amore e dedizione del tuo staff, c’è una sorta di Prova del Nove che puoi usare per verificare da solo se l’elemento posizionante che hai deciso di comunicare è davvero differenziante.

Rispondi a questa semplice domanda.

Esiste qualcuno che si vantarebbe mai di avere un posizionamento esattamente opposto al tuo?

Per esempio, se dici:

Specialisti nella creazione di camicie da donna in seta.

Potrebbe benissimo esserci qualcuno focalizzato nella vendita di sole camicie da uomo in cotone organico.

I prodotti del mio mobilificio sono unici perché te li consegno finiti e costruiti su misura per casa tua.

Questa è facile. Sappiamo tutti che c’è un’azienda, croce e disperazione di migliaia di poveri uomini, specializzata nell’esatto contrario.

Il mio prodotto è speciale perché ci mettiamo tanto amore ed è di altissima qualità.

Se ti viene in mente qualcuno che si vanterebbe mai di creare prodotti scadenti, che non valgono minimamente i soldi che chiede e che su questo ci ha costruito il proprio successo e ne ha ricavato una fortuna…

…fammelo conoscere che rimetto in discussione tutto quello che credevo di sapere in fatto di marketing.

Nessun imprenditore che ambisce a far crescere la sua azienda baserebbe mai il suo posizionamento ammettendo che il suo prodotto è di infima qualità o il suo servizio è inutile. 

Mi sembra abbastanza logico, no?

Se ti rendi conto che nessuno si fregerebbe mai di un elemento differenziante opposto al tuo, è il segnale che il tuo elemento posizionante non esiste e il tuo copy non ha niente da raccontare.

Prima dar via a una qualsiasi campagna marketing, devi quindi saper dare una risposta a questi tre punti:

  • a che nicchia ultraspecifica di pubblico ti rivolgi;
  • che obiettivo vuoi raggiungere con ogni messaggio che mandi;
  • qual è l’elemento posizionante da spingere con il tuo copy.

Per mettere la spunta a tutti e tre e procedere con la tua campagna è necessario un lavoro di studio e indagine molto più complesso e dettagliato rispetto a sollevare la cornetta e chiamare un artista che faccia della tua storia un cortometraggio da cinema.

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