Il cervello ti rende egocentrico, e va bene così per vendere

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Come è possibile sentire una singola persona che parla nel mezzo di una festa affollata, anche quando è dall’altra parte della stanza?

È colpa dell’effetto cocktail-party, la notevole capacità umana di concentrarsi su un singolo oratore praticamente in qualsiasi ambiente (una classe, un evento sportivo o un bar) anche se la voce di quella persona è apparentemente soffocata da una folla.

E se poi quel “qualcosa” che viene pronunciato è il tuo nome, il radar è ancora più potente.

Non preoccuparti, non sei una brutta persona:

è solo il cervello che ti rende egocentrico

In questo secondo caso, a guidare le nostre reazioni è il self-reference effect (effetto autoreferenziale), la tendenza che ci porta a codificare le informazioni in modo diverso quando queste ci coinvolgono in prima persona. 

E, da imprenditore, c’è da drizzare le antenne: qualsiasi pezzo di copy tu scriva per attirare l’attenzione del tuo cliente può rivelarsi estremamente più efficace se riesci a sfruttare quello che hai appena letto.

Direi quindi che è doveroso un approfondimento!

Il primo a pubblicare una versione più generica di questa tesi fu George Kelly, nel 1955.

La premessa della sua teoria dei costrutti personali affermava che noi non conosciamo il mondo in modo diretto, ma solo attraverso le immagini che creiamo. 

Per esempio, la ricchezza per me può essere qualcosa di completamente diverso da quello che è per te.

E fin qua…

Quello che è in realtà più interessante è che il nostro “egocentrismo” influenza anche la nostra memoria.

Nello studio Self-Reference and the Encoding of Personal Information pubblicato sul  Journal of Personality and Social Psychology, la conclusione dei ricercatori è stata che quando alle persone viene chiesto di ricordare informazioni correlate a loro stesse, il tasso di richiamo è più alto.

Nel 2012, anche Stanley B. Klein ha pubblicato un articolo sul sé e la memoria e su come si relaziona con l’effetto di autoreferenzialità e conferma che le parole legate a noi stessi le ricordiamo molto più spesso rispetto alle parole che non sono correlate a noi.

Ma tranquillo, non ti sto tediando con queste ricerche solo per darti una spiegazione scientifica del perché hai maggiore probabilità di ricordare i compleanni più vicini al tuo, rispetto a quelli più distanti dalla tua data di nascita (che comunque, puoi sempre provare a giocarti come scusa se dovesse servire)!

Quando vuoi vendere, come ti torna utile quest’informazione?

Te lo dico subito.

Abbiamo detto che se un messaggio è associato direttamente a noi stessi, lo elaboriamo prima e meglio rispetto a tutti gli altri.

E questo è il risultato a cui devi puntare con i tuoi pezzi.

Il tuo materiale di marketing deve dare al tuo cliente la possibilità di sentirsi chiamato in causa, di essere coinvolto e di potersi immedesimare in ciò che gli dici.

Nello studio Using self-referencing to explain the effectiveness of ethnic minority models in advertising i ricercatori hanno studiato le reazioni dei consumatori asiatici a diverse pubblicità.

Il risultato è stato che i partecipanti hanno indicato di riconoscersi negli annunci quando venivano utilizzati modelli con i loro stessi connotati.

E dirai, ci voleva uno studio?

Quando la referenza a noi stessi è esteticamente palese è scontato sentirci simili: lo siamo.

Appunto…

La difficoltà sta nel replicare quella similarità con il tuo cliente per quanto riguarda le sue caratteristiche interne e i suoi modi di pensare.

È tutta un’altra storia.

Nel 2007 Martin, Veer e Pervan hanno esaminato come le credenze sul controllo del peso influenzano il modo in cui le consumatrici reagiscono ai modelli femminili nella pubblicità con diverse forme del corpo.

Hanno scoperto che le donne che credono di poter controllare il proprio peso, rispondono più favorevolmente alla vista di modelle magre nelle pubblicità. Chi invece crede che dimagrire sia più difficile risponde meglio a pubblicità che includono anche corpi con taglie diverse.

Bel casino, no?

Ti tocca personalizzare i tuoi testi in base alla psicologia interna del tuo lettore.

In Propagando lo diciamo dal 2017 e da allora, non importa quante ricerche mi capitano sottomano, confermano tutte lo stesso principio.

Se vuoi vendere al tuo cliente, devi conoscerlo e riuscire a parlare la sua lingua insinuandoti nel suo dialogo interiore, fino a guidarlo verso la scelta di comprare da te.

Tobias Egner, professore associato presso il Dipartimento di Psicologia e Neuroscienze della Duke University, nella ricerca Automatic Prioritization of Self-Referential Stimuli in Working Memory si pone un quesito che interessa anche a noi che prepariamo materiali di marketing.

“La domanda è: quanto è automatico darci priorità? È qualcosa che non si può evitare? In tal caso, ciò potrebbe davvero influenzare il modo in cui prendi le decisioni.”

La ricerca si basa sull’idea che essere egoisti è qualcosa di deprecabile e che la neuropsicologia serva in qualche modo per giustificare la faccenda.

Ma a noi, che siamo brutteh perzoneh, non ce ne frega una cippa di essere “deprecabili” e di darci una giustificazione per la nostra natura.

Anzi, più debolezze troviamo nella mente, più siamo contenti.

Ti faccio un esempio pratico.

La working memory, a volte chiamata memoria a breve termine, è “la nostra interfaccia con il mondo“, ha continuato Egner.

“Usiamo la working memory per prendere decisioni complesse in cui dobbiamo soppesare diverse informazioni e tenerle a mente.”

Per leggere questa frase, la tua working memory mantiene ogni parola nella memoria a breve termine giusto per alcuni secondi fino a quando non arrivi al punto.

Riesci a ricordare ogni parola che hai letto?

Ovviamente no.

E questo è il primo motivo per cui il tuo copy deve essere fatto di frasi brevi se vuoi che il tuo messaggio sia comprensibile e più facile da ricordare.

Se poi metti sempre al primo posto le informazioni che si riferiscono direttamente al tuo lettore, il self-related bias guiderà le sue decisioni facendo sembrare il contenuto più importante.

Alla fine, gira e rigira, tutte le tecniche efficaci di copy, dalla più semplice alla più strana, derivano da qualche tipo di bias.

Ecco perché andare a guardare come funziona il nostro cervello è più utile e più interessante che studiare copy copiato (perdona il gioco di parole) da qualche guru oltreoceano.

Se sei arrivato qui in fondo sperando nella formula secreta, ancora una volta mi tocca deluderti. 

Se sei di casa in questo in blog, invece, ti aspetti già che la soluzione, come al solito, è usare un approccio scientifico, studiato, basato sui principi che regolano il meccanismo decisionale del tuo cliente.

In Propagando, quando scriviamo materiali di marketing, ci concentriamo su ciò che è più importante per le vendite di un’azienda: i sistemi decisionali d’acquisto dei consumatori.

Il copy che scriviamo per i nostri clienti ruota tutto attorno ai principi della neuropsicologia.

Ecco perché, ad esempio, prim’ancora di scrivere qualsiasi materiale facciamo un’analisi di mercato per capire cosa fanno i tuoi competitor, così da riuscire a comunicare il messaggio che vuoi trasmettere ai tuoi clienti e il posizionamento della tua azienda nel modo più chiaro, accattivante e coinvolgente possibile.

Su questa pagina trovi quello per cui siamo conosciuti tra i nostri clienti.

Qui invece puoi scoprire quali sono le 3 condizioni che devi avere per lavorare insieme.

A presto!