Il Paradosso del Fabbro esperto che nessun cliente vuole pagare

Condividi questo articolo

C’era una volta un giovane fabbro alle prime armi.

Uno dei suoi principali incarichi era aprire le porte di quelli che si erano chiusi fuori casa senza chiavi.

Era un lavoro di fatica.

Non sempre riusciva a forzare le serrature. A volte doveva forzare il chiavistello con la forza e altre era addirittura costretto a sfondare la porta a spallate.

Non era per niente un lavoro leggero. Il fabbro si sforzava, sbuffava e sudava, tirando fuori dalla sua cassetta un attrezzo dopo l’altro.

I clienti, vedendo tanto sforzo e impegno, oltre al pagamento della fattura gli riconoscevano sempre anche una generosa mancia per il lavoro profuso e per averli aiutati. Vedendo la fatica il duro lavoro, si rendevano conto che non sarebbero mai stati in grado di rientrare in casa senza il suo aiuto.

Con il passare degli anni, il giovane fabbro diventa sempre più esperto e abile nel fare il suo lavoro.

Da buon veterano, gli basta capire che tipo di serratura ha davanti. Conosce meccanismi, chiavistelli e serrature. Prende gli attrezzi del mestiere e, come uno scassinatore provetto, in un batter d’occhio apre la porta. Senza forzarla, senza rompere la serratura e soprattutto senza sfondarla.

È più bravo. Più veloce. E i suoi interventi comportano molti meno danni collaterali.

Eppure, da quando è diventato così abile, ha smesso di ricevere mance…

Anzi, non solo.

I clienti sembrano addirittura seccati di dover pagare la parcella per un lavoretto di pochi secondi, svolto con apparente facilità

Sembrerebbe un paradosso: di base, più è veloce ed efficiente il servizio che riceviamo, più dovremmo essere soddisfatti e propensi a pagarlo.

Eppure, secondo una ricerca condotta dalla Harvard Business review, spesso è vero esattamente il contrario.

Il caso del fabbro è emblematico.

Prima che fraintenda quello che voglio dire e corra a modificare i tempi di erogazione del tuo servizio sostituendo il tuo staff con personale posseduto dallo spirito del bradipo, lascia che ti spieghi come non cadere nel paradosso del fabbro.

Ti anticipo che tutto quello che leggerai a breve non ha nulla a che vedere con la qualità dei tuoi prodotti o servizi. Neanche con la preparazione e operatività del tuo staff.

È un mero discorso di percezioni e bias.

Se ti sei mai trovato a pensare qualcosa del tipo:

  • Quell’azienda dà un servizio cento volte più lento del mio, com’è possibile che ci siano clienti che la preferiscono alla mia?
  • A pari livello di qualità, sono il più veloce di tutti, ma perché non comprano tutti da me?
  • Il prodotto che ti dà il mio competitor non è finito, ti richiede molto più lavoro per montaggio o installazione, io te lo metto in casa con tanto di fiocco rosso. Come è possibile che qualcuno preferisca comprare lui?

Insomma, se pensi di fare il tuo lavoro in modo eccelso (sia per qualità, che servizio clienti e tempi di erogazione), ma ti vedi surclassato da chi dà e fa meno, in questo articolo troverai la spiegazione scientifica del motivo per cui ciò succede… e istruzioni per invertire la rotta e sfruttarne gli effetti a tuo vantaggio.

Labour illusion bias: la fatica che aumenta il valore del tuo prodotto o servizio

Da imprenditore, sicuramente ti sarai trovato a misurare il tuo staff non solo in base ai risultati.

Il nostro cervello, inconsapevolmente o meno, tende a preferire e premiare chi dimostra un alto grado di dedizione al proprio lavoro.

Non mi riferisco all’ovvia decisione di voler premiare chi ci dà dentro, rispetto allo scansafatiche.

Parlo di due persone che, a parità di qualità di lavoro svolto, vengono percepite in modi differenti da chi gli paga lo stipendio.

Immagina di essere un imprenditore con questi due dipendenti.

Il primo è disposto a fare un’infinità di ore extra per portare a termine il lavoro che gli hai assegnato. È disponibile a lavorare a orari improbabili è di base visto come quello da premiare per l’impegno.

Mette il proprio lavoro prima di famiglia, amici e vita privata.

Il secondo, invece, è molto più produttivo sul lavoro. Riesce a portare a termine tutto il carico di compiti assegnato con la medesima qualità, ma senza mai finire fuori orario. Anzi, alcune volte finisce addirittura in anticipo.

Il lavoro è esattamente lo stesso. 

La qualità anche.

Il primo lavora decisamente di più.

Il secondo è senza ombra di dubbio più efficiente.

Risultato?

La stragrande maggioranza degli imprenditori, tenderebbe a premiare il primo dei due dipendenti.

Sicuramente gran parte della responsabilità di questa scelta è legata a un fattore culturale.

Mentre in alcuni paesi chi mette il lavoro al primo posto su tutto è una persona affidabile, seria, su cui puoi contare a occhi chiusi, in altri paesi tornare a casa solo per ora di cena è insulto alla tua famiglia, per non parlare del mettersi a lavorare dopo cena.

Ci sono culture per cui, chi lavora 12 ore al giorno viene percepito come uno uno schiavizzato che non sa godersi e apprezzare la vita. Altre dove se stai fuori dall’ufficio per più di 8 ore, vieni visto come un lavativo.

Se togliamo il fattore culturale, c’è anche una ragione scientifica per cui chi dedica tanto tempo al proprio compito è visto come da premiare.

La colpa è del labour illusion bias, l’errore cognitivo che porta i consumatori a percepire i risultati in modo più favorevole quando sono consapevoli dello sforzo fatto per produrli.

Vale con i dipendenti, ma vale anche e soprattutto con i prodotti o i servizi che offri.

Posso farti un esempio che di sicuro hai vissuto in prima persona se hai mai prenotato un volo online.

In un recente esperimento, condotto dai ricercatori della Harvard Business School Ryan Buell e Michael Norton, è emerso che tra una pagina che caricava i voli disponibili all’istante e un’altra che ci impiegava 60 secondi di più, i soggetti dell’esperimento tendevano a preferire la prima.

Ma se durante quei 60 secondi scorrevano velocemente i loghi di tutte le aerolinee passate in rassegna dal motore di ricerca, il risultato cambiava totalmente e la seconda pagina stravinceva in termini di scelta e percezione di affidabilità.

Il nostro cervello è portato a credere che l’intelligenza artificiale dello scanner di voli, stesse confrontando tutte le opzioni di tutte le compagnie, passandole al setaccio ad una ad una e scandagliando ogni alternativa possibile.

Il Labour Illusion Bias condiziona così tanto la percezione della qualità dell’offerta, da funzionare anche se questa “sudata” la sta facendo un computer

Hai presente quando ritiri i contanti dal bancomat? A prescindere dalla banca e dal paese in cui mi trovo, la macchina, mentre attendo la mia mazzetta, inizia a far sentire un rumore di fruscio da conteggio banconote manco stessi ritirando un milione di euro in pezzi da 5.

Prego, conta pure e bene. Sia mai che mi dai meno del dovuto.

Dagli esempi visti finora, emerge che anche se siamo convinti che tutto ciò che desideriamo sia un risultato specifico, in realtà il più delle volte ci interessa vedere che quello per cui paghiamo sia valso uno sforzo che fa da contraltare al costo che dobbiamo sostenere.

Questo dettaglio è altamente rilevante per la tua azienda, perché influenza totalmente il modo in cui il tuo cliente percepisce il pagamento dei servizi.

Per Buell e Norton, l’apprezzamento del lavoro è molto forte soprattutto perché incentiva un’azienda alla “trasparenza” dei processi.

Ecco come puoi sfruttare il Labour Illusion Bias nel tuo marketing anche (o meglio, soprattutto) se il tuo prodotto/servizio richiede più tempo e difficoltà per essere erogato

Nel tuo copy, sfruttare il labour illusion bias, vuol dire essere in grado di dimostrare al tuo target tutto il lavoro che c’è dietro in termini di ricerca, studio, preparazione, complessità, selezione e perizia.

In poche parole, devi dargli accesso al “dietro le quinte” della tua attività.

Lo so cosa stai pensando.

“Ci ho messo anni a raggiungere questo livello di qualità. Non voglio fornire un assist ai miei competitor, permettendogli di ficcare il naso nei processi della mia azienda”.

Bravo. Hai ragione!

Ma permettimi di farti riflettere su tre importanti aspetti:

  1. Non è affatto detto che i tuoi competitor riuscirebbero a capire e comprendere tutto quello che fai solo guardando un video, ascoltando un podcast o leggendo un articolo del tuo blog.
  2. Se davvero hai dei segreti da custodire, non sei affatto costretto a spifferarli. Per affascinare i tuoi clienti ti è sufficiente alluderne all’esistenza nel tuo copy.
  3. Non dimenticare che essere il primo a raccontare il dietro le quinte, crea nella testa dei tuoi clienti l’idea che tu sia il primo ad averci pensato. Il primo ad aver sviluppato quel livello di ricercatezza. Il primo ad aver dimostrato di avere un livello di competenze che i tuoi competitor non sono in grado di esibire. Come sai, non è facile scardinare dalla mente di un cliente di essere stato “il primo che…”.

Per intenderci, se il tuo business gira tutto attorno ad un unico meccanismo o ad una specifica formula di tua invenzione o di tua scoperta, è chiaro che l’ultima cosa che dovresti fare è vuotare il sacco e rivelarne tutti i dettagli.

Ma in tutti gli altri casi, pur avendo istruzioni specifiche, nessun competitor riuscirà mai a replicare il tuo servizio, perché può essere erogato solo se supportato da un know how specifico.

Se guardi gli articoli di questo stesso blog, leggi i contenuti del gruppo Facebook e ascolti gli episodi di Radio Copy Show trovi spiegazioni dettagliate su come costruire i tuoi materiali di marketing sfruttando le immutabili leggi della psicologia cognitiva e del neurocopy.

Sveliamo i principi dietro la realizzazione delle nostre campagne e mettiamo in guardia dagli errori e dalle fregature dei vari corsi di formazione sul copy che spacciano in Italia.

In altre parole, sveliamo tutto il dietro le quinte della realizzazione dei nostri lavori.

Lo facciamo dal giorno 1, ma in questi anni Propagando non ha mica chiuso perché un tizio a caso si è messo a studiare il nostro modus operandi.

In molti provato a “prendere ispirazione” da quello che facciamo. Ma un conto è dire di basare il proprio copy sullo sfruttamento dei bias, un altro è saperlo fare davvero.

La capacità per trasformare conoscenze teoriche in competenze operative, non è copiabile

È risultato di studio, pratica ed esperienza sul campo.

Se Coca Cola stasera pubblicasse la sua ricetta per creare la bevanda, entro una settimana ci sarebbero migliaia di repliche identiche. Potrebbe non essere la fine dell’azienda, ma una bella fetta di mercato senza dubbio evaporerebbe per passare ai cloni.

Condividere con il tuo cliente il funzionamento interiore della tua azienda può quindi essere, in base al tuo modello di business, uno dei principali contenuti da creare nelle tue pagine, nel tuo blog o da tener presente per i tuoi materiali di marketing.

Raccontare e mostrare passaggio per passaggio cosa c’è dietro la realizzazione di un prodotto è uno dei modi per sfruttare a tuo vantaggio il labour illusion bias.

Ma quando a dover faticare è invece il tuo cliente?

Il sudore è apprezzato da un cliente quando lo vede colare dalla tua di fronte.

Ma ci sono casi in cui lo sforzo profuso dà più valore al prodotto, anche se la fatica è stato lui a farla.

Non perché dentro di lui ci sia un piccolo Stachanov…

Siamo per natura portati ad apprezzare risultati che abbiamo contuibuito in prima persona a raggiungere.

Questo bias non è sicuramente scappato al signor Kamprad, fondatore di IKEA.

I mobili Ikea, come tutti sappiamo, sono da montare. Chi di noi non ha sputato sangue, sudore e bestemmie su quelle dannate istruzioni?

Ma che soddisfazione quando alla fine vediamo il lavoro finito…

Il bias per cui dimostriamo un particolare attaccamento ad un oggetto per il solo fatto che lo abbiamo realizzato personalmente prende proprio il nome di Ikea Effect.

È vero che alcuni preferiscono pagare un servizio e avere già tutto montato in casa.

Ma molti altri apprezzano la sensazione di essere piccoli artigiani, di vivere la fatica del montaggio e godersi la soddisfazione di aver raggiunto un obiettivo (e chiunque abbia montato anche solo una sedia dell’Ikea, lo sa).

Abbiamo un bisogno psicologico di sentirci competenti

Ci piace avere la sensazione di sapere cosa stiamo facendo e che siamo in grado di gestire i compiti che ci vengono assegnati e di affrontare gli ostacoli quando si presentano. 

Ad alcuni piace il vino servito in un calice. Altri vogliono vivere l’esperienza di pestare l’uva e poi sorseggiare la squisitezza che ha in parte prodotto!

Montare mobili, cucinare e altre attività che ci fanno metterere le mani (o i piedi) in pasta, aumentano il nostro senso di autoefficacia: il prodotto finale che mettiamo insieme è percepito come molto più prezioso.

Fai da te e personalizza: come usare nel tuo copy l’Ikea Effect

Nelle tue strategia di marketing l’applicazione dell’effetto Ikea si traduce con la creazione di prodotti o l’erogazione di servizi “incompleti”.

Il tuo copy dovrà però subentrare per far sì che la tua idea venga comunicata mettendo in leva questi bias.

Da “fallo tu perché è una figata” a “fallo tu perché io faccio i lavori fino a una certa” è un attimo.

Sempre più aziende colgono questa tendenza e i prodotti “done by you” o “done with you” sembrano essere in aumento. 

Grazie a questo pregiudizio cognitivo, i professionisti del marketing permettono alle aziende di ricavare una bella fetta di torta e papparsela mentre i clienti fanno la maggior parte del lavoro, si sentono felici e sentono di aver fatto un ottimo affare.

Il meccanismo nel cervello del tuo cliente che fa aumenta il valore percepito del tuo prodotto o servizio

Quando un bias innesca una reazione nel nostro cervello, in genere non agisce mai da solo.

Per esempio, per comprendere l’effetto IKEA, è utile fare un cenno a un tipo specifico di dissonanza cognitiva: la ”giustificazione dello sforzo”.

Quando facciamo qualcosa di difficile o impegnativo, vogliamo credere che c’è una buona ragione per aver messo tanto impegno in quel lavoro. 

La conseguenza è che tendiamo a dare più valore o importanza all’obiettivo a cui stavamo lavorando e, una volta conseguito, il suo valore sarà più alto rispetto allo stesso risultato ottenuto con facilità.

Il meccanismo è stato preso in esame da un vecchio studio sulla giustificazione dello sforzo. Agli studenti universitari veniva detto che avrebbero partecipato a una discussione di gruppo sul sesso.

Alcuni dei partecipanti dovevano semplicemente completare un “test di imbarazzo”, per capire quanto si sarebbero sentiti a proprio agio nel prendere parte alla conversazione. 

Altri erano stati inseriti nel gruppo “moderato”. Per loro la conversazione comprendeva la lettura ad alta voce di parole legate al sesso.

Altri ancora, i membri del gruppo “difficile”, dovevano descrivere “oscenità”. 

Per inciso, la ricerca era stata svolta nel 1959. Il metro di ciò che era ritenuto scandaloso allora non è di certo lo stesso di oggi.

Al termine della discussione, tutti i partecipanti hanno compilato un questionario sulle loro reazioni alla discussione. 

Non c’era molta differenza tra il gruppo di test “moderato” e il gruppo che ha solo dovuto fare un test di imbarazzo.

Quello che è interessante per noi è che le persone nel gruppo “difficile” hanno valutato la discussione come significativamente più interessante e hanno valutato i loro compagni di gruppo come più intelligenti.

Più difficile era percepita la prova, più volevano giustificare tutto quello sforzo di uscire dalla propria zona di confort di parlare di beer pong e fuoristrada.

Lo stesso principio si applica all’effetto IKEA. 

Il tuo cliente non vuole sentirsi come l’idiota che accetterebbe di sprecare il suo tempo e le sue energie montando il suo letto quando avrebbe potuto essere servito e riverito acquistandone uno già assemblato. 

Il nostro cervello, che non ama farci sentire dei babbi, fa – senza richiesta – una sorta di adattamento mentale: decide che il nostro letto è più prezioso degli altri proprio perché ci abbiamo dedicato tempo e fatica.

Questo risolve la nostra dissonanza cognitiva e ci fa sentire che lo sforzo è proporzionato al risultato ottenuto.

Nel tuo copy puoi mettere in leva i meccanismi psicologici descritti nell’articolo comunicando i benefici del creare parte del prodotto o servizio che proponi.

È il caso di Shampora, un nostro cliente che prima di farti acquistare un prodotto per i capelli, ti “prende del tempo” per farti compilare un questionario volto a capire che tipo di capello hai, che obiettivo vuoi raggiungere, quali profumazioni gradisci.

Il risultato è lo shampoo che tu stesso hai contribuito a creare sulla base di necessità e desideri da te espressi. 

Lo sforzo non deve essere necessariamente fisico: dedicare del tempo a qualcosa è già un investimento. 

Poiché nessuno ama sentirsi uno stupido che spreca tempo a caso, quando hai tra le mani il risultato di quel tempo investito, ne percepirai un valore molto più alto.

I prodotti per capelli personalizzati innescano questi meccanismi. Prendere un barattolo dallo scaffale di Tigotà, no.

Così come i bias agiscono sempre in compagnia, allo stesso modo non tutti i bias si possono mettere in leva per lo stesso settore, prodotto o target.

L’importante è analizzare minuziosamente caso per caso ed evitare dei mix&match casuali che ti farebbero approdare a un materiale marketing scritto con un copy che allontana clienti invece che avvicinarli.

Ma di questa noiosa parte di ricerca e studio non devi necessariamente occupartene da solo.

Ti basta cliccare QUI e prenotare la tua prima call gratuita

Al resto ci penseremo noi!