Il filosofo greco Aristippo era molto goloso.
Platone una volta lo fermò e lo rimproverò: “Non ti pare” gli disse “di aver comprato molto più pesce di quello che occorre al tuo appetito?“.
“Certo” ammise Aristippo “ma l’ho pagato poco. Solo due oboli!“
“Oh” esclamò Platone “a quel prezzo l’avrei comprato pure io.“
“Vedi” gli fece notare Aristippo “se io sono goloso, tu allora sei avaro.”
Una delle ragioni per cui anche tu, come Platone, sei molto sensibile ai vizi delle persone che ti circondano – ma molto meno ai tuoi – è la trappola dell’autocompiacimento (self-serving bias).
Questo bias ti spinge ad attribuire il merito dei tuoi successi alle tue qualità.
Sei bravo, lo so.
Sei un campione e meriti pacche sulle spalle a non finire e tutta l’ammirazione del mondo.
Ma che succede quando le cose ti girano male?
Che la colpa dei fallimenti ricade sempre su qualcun altro o su qualche improbabile coincidenza negativa.
Questo accade per colpa di alcuni meccanismi cognitivi e motivazionali abbastanza comuni, come il desiderio di apparire migliore degli altri e il bisogno di alimentare la tua autostima.
Non sei una brutta persona.
Comportarsi in questo modo è un riflesso istintivo perfettamente naturale che accomuna me, te, Papa Francesco, Hitler, Gandhi e Stalin.
È un meccanismo che la nostra mente ha adottato per proteggersi dal dolore.
Promemoria: la maggior parte delle scelte che fai ogni giorno (e in ogni ambito) è presa allo scopo di evitare le diverse forme di dolore legate a una scelta sbagliata.
Anche il ricordo gioca un ruolo importante.
Se commetti un grosso errore o incappi in un fallimento (anche uno di quelli che bruciano da morire e che sai che non riuscirai mai a dimenticare), dopo appena qualche minuto la tua mente comincerà a cercare delle attenuanti e delle giustificazioni che ne alleggeriscano il peso.
Invece di riconoscere i tuoi sbagli e imparare da questi, sei istintivamente propenso a giustificare il tuo insuccesso con cause del tutto indipendenti dalla tua volontà e dal tuo controllo.
È così che è stato inventato il concetto di sfortuna.
Non voglio farti la paternale new age alla Tony Robbins e convincerti che devi “prenderti la responsabilità delle tue azioni“.
A queste latitudini non facciamo motivazione spicciola.
Nel copy, devi fare proprio il contrario di quello che insegnano ai corsi di crescita personale
Visto che la tua mente e quella dei tuoi clienti (e pure la mia, cosa credi?) non vogliono prendersi la responsabilità dei propri fallimenti, il tuo copy deve avallare completamente questa tendenza.
Giustifica ogni fallimento dei tuoi lettori (legato al tuo settore).
Autorizzali a credere che la colpa dei loro sbagli si nasconda in un fattore esterno su cui non potevano avere alcun controllo.
I tuoi lettori non vedono l’ora di liberarsi dal peso delle proprie cattive scelte e sono disposti a dare fiducia totale e incondizionata a chiunque gli dirà “Si, è proprio così. Hai ragione tu. La colpa non è tua...”
Sarebbe davvero un peccato non sfruttare questa tendenza a tuo vantaggio…
Il self serving bias si manifesta in tutti i settori
Nel mondo dello sport, dove la vittoria è il risultato del duro allenamento e la sconfitta è colpa degli arbitri.
Nell’economia e nella finanza, dove i profitti sono merito di abili manager e le perdite sono colpa della crisi.
Nella scuola, dove i bei voti dipendono dalla nostra intelligenza e quelli brutti dall’eccessiva severità dei professori.
Secondo le statistiche addirittura nove automobilisti su dieci considerano le proprie capacità di guida al di sopra della media.
E ovviamente il tuo copy deve cavalcare quest’onda.
I tuoi materiali di marketing devono offrire SEMPRE ai tuoi lettori una giustificazione per i loro insuccessi.
Non perché sia per forza vero, ma perché quello che vogliono è essere deresponsabilizzati.
Vogliono continuare a poter credere di non essere la causa del loro attuale problema.
Vogliono sentirsi liberi dal peso della colpa.
E saranno iper ben disposti verso chiunque, che attraverso il proprio copy, avallerà questo loro limite.
Ora, se non è chiaro, siamo davvero meritevoli dei successi ma mai colpevoli dei nostri fallimenti?
Ovviamente no.
Però il self serving bias, dandoci quella vena ottimistica che ci fa sopravvalutare le nostre capacità e ridimensionare i nostri limiti, protegge la nostra autostima.
Se Tizio cade dalla bici è perché non è in grado di guidarla, ma se a cadere siamo noi è sicuramente colpa della bicicletta o della strada dissestata o di Caio che mi ha distratto.
Prendi un discorso di Michael Jordan, l’eccezione che conferma la regola del “self-serving bias”:
“Nella mia carriera ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso 300 partite. Per 36 volte i miei compagni si sono affidati a me per il canestro decisivo e io l’ho sbagliato. Ho fallito tante e tante volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto“.
Nel tuo copy, anche se il tuo lettore dovesse avere la mentalità di un campione del mondo, non dovrai mai essere tu a suggerirgli che è lui il responsabile dei suoi fallimenti.
Se avessi Michael Jordan davanti, sono sicuro che non ti passerebbe per l’anticamera del cervello di dirgli “Nella tua carriera hai sbagliato più di 9000 tiri. Hai perso 300 partite. Per 36 volte i tuoi compagni si sono affidati a te per il canestro decisivo e tu l’hai sbagliato. Hai fallito tante e tante volte nella tua vita.”
“Che schifo, Michael.”
Eppure è proprio ciò che fai quando con il copy parli al tuo cliente implicando che sia stupido perché non la pensa come te o, peggio ancora, che sia il colpevole della situazione in cui si è ficcato.
Quindi ricorda:
Se il tuo lettore supera una prova, dipende dalla sua abilità.
Se non la supera, dipende da fattori esterni.
Se non sei ancora convinto, passo la palla a Ellen Langer, che nella metà degli anni 70 condusse uno studio con oggetto l’estrazione alla lotteria.
Ora, sappiamo che i biglietti hanno statisticamente la stessa probabilità di essere estratti.
La ricerca aveva messo in luce, però, che i soggetti a cui veniva data la possibilità di scegliere il biglietto, avevano maturato la convinzione che la propria scelta avesse influenzato l’estrazione.
Coloro ai quali non era stata garantita la stessa possibilità, avevano sostenuto che l’esito dell’estrazione era dovuto al caso.
Un altro esempio è anche l’assunzione di sostanze stupefacenti.
Pur essendo consapevoli degli effetti che derivano dalla loro assunzione, accade saltuariamente che molti individui non tengano conto dei rischi e facciano uso di tali sostanze.
Queste persone sviluppano la credenza che eventuali esiti drammatici non li riguarderanno personalmente.
L’invulnerabilità è una credenza a cui si affidano spesso le persone che sottovalutano i comportamenti rischiosi e che diventano vittime e carnefici del proprio destino.
È compito del tuo copy avallarla per avvicinare il tuo lettore che così troverà giustificazione al suo istinto nelle tue parole e si lancerà a capofitto tra le tue braccia.
È questo l’effetto di una copy strategy ideata non secondo il gusto, la creatività o il sentimento, ma secondo i principi psicologici che guidano il tuo cliente a prendere una decisione.
Riuscire a insinuare nei tuoi pezzi, nel modo corretto, le giuste leve per il tuo target non è affatto semplice.
Improvvisare o sbagliare rischia di innescare effetti contrari a quello desiderato: accompagnare il tuo lettore in un ragionamento finché risulta evidente che tu hai la soluzione migliore per lui.
D’altro canto, non sfruttare affatto questi principi per paura di usarli mali riduce drasticamente il potenziale di conversione del tuo copy.
È per questo che se vuoi iniziare subito a creare materiali di marketing che inneschino nel tuo cliente quel desiderio di salire su una catapulta che lo fiondi dritto verso la tua soluzione, ci siamo noi di Propagando.
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