Food Copy: tutto quello che devi sapere per vendere cibo

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copertina Food Copy: tutto quello che devi sapere per vendere cibo

Ultimamente, per mia somma gioia, stiamo lavorando molto nel settore food.

Scrivere copy per far venir voglia di mangiare qualcosa è uno dei mestieri più belli e difficili allo stesso tempo.

Più belli perché… vabbè, che te lo spiego a fare? Dovremo pur assaggiare quello che andiamo a raccontare. È uno sporco lavoro, ma mi sacrifico in prima persona per il bene aziendale.

giphy grazie

Ma per quanto mi piaccia mangiare e parlare di cibo, venderlo è molto più difficile.

È un problema di canali sensoriali. Devi creare l’anticipazione del gusto, senza poter usare i due sensi che di fatto lo generano: l’olfatto e, appunto, il gusto.

Come si racconta a parole il sapore del somacco?

Come si descrive la ferrosità di un hamburger di cavallo appena macinato?

Come si spiega il sapore di una crema di aglio bruciata?

Io sono qui che mi scervello ore e ore per trovare le parole giuste che servono per creare quell’anticipazione del gusto che faccia venire l’acquolina in bocca e per dipingere con le parole immagini di sapore… e poi vedo quello che fanno da altre parti.

Agenzie di food influencer senza arte né parte che pubblicizzano piatti squisitamente assurdi, tipo hamburger con burrata da spiaccicare sopra per poi inzozzarci le dita dentro quando lo si prova ad addentare, riassumendo il tutto in un banale “hamburger perfetto“.

Un perfetto mappazzone insensato, propinato a ristoratori vittime delle vanity metrics, dei like comprati dai pakistani e del trash marketing.

Nessuna bellezza. Nessuna eleganza. Nessun istinto di dire “lo voglio anche io”.

Ignoranza un tanto al chilo, spacciata per marketing, che si riflette sul posizionamento del locale.

Non lo dirò con mezzi termini: scrivere per vendere nel settore food è difficile

E se già gli scivoloni nel copy sono all’ordine del giorno anche dove l’uso del buon senso sarebbe sufficiente a prevenirli, nel food copy le bucce di banana sono disseminate anche laddove pensi di essere in una botte di ferro. 

Per onor di sintesi, ti parlerò solamente di alcuni degli errori più diffusi che ho notato finora in tanti anni a stretto contatto con bar, locali e ristoranti, sia da copywriter, ma ancor di più da fedele e appassionato cliente.

Le trappole in cui cade la stragrande maggioranza di imprenditori del mondo della ristorazione nella convinzione di promuovere la loro attività, sono riconducibili a 4 errori e se non sei soddisfatto delle vendite del tuo locale, molto probabilmente ti rivedrai in almeno uno di questi.

Errore 1 – “Esplosione di gusto” is the new “qualità e competenza”

Lavorare nella ristorazione e scrivere da qualche parte sul menù, sul sito o sul packaging dei prodotti espressioni tipo “un’esplosione di gusto”, richiede a mio avviso una riflessione.

Se usi le stesse parole di tutti gli altri ristoratori per descrivere i tuoi piatti, queste diventano ancora più vuote di significato di quanto lo siano già di per sé.

Hai presente quando tutti parlano di qualità e competenza come se fosse un tratto differenziante? Nel food quest’espressione equivale all’onnipresente esplosione di gusto.

Come termine è solo un modo diverso di dire molto gustoso, che poi è quello che di base mi aspetterei di ogni piatto (in caso contrario voglio sperare che non tu non lo abbia nel menu e non lo venda).

Capisco che l’uso della parola esplosione possa sembrare la quintessenza del copywriting, e dare una parvenza di dinamismo enogastronomico, ma ti assicuro che non è così.

Ogni volta che ti viene la tentazione di far seguire ad un piatto una descrizione tipo:

  • connubio di sapori;
  • esplosione di sapori;
  • gusto raffinato;
  • esperienza coinvolgente;

ricorda che, di fatto, hai scritto “sa di almeno due cose, è saporito, è meglio dei Chicken McNuggets, è buono“.

A livello neurologico, il godimento dato da un buon piatto comincia a generarsi sotto forma di anticipazione già dalla descrizione del piatto stesso.

Quello stesso godimento è una leva che attrae il tuo cliente verso l’ordine del piatto più costoso e meglio descritto nel menù o che semplicemente lo spinge a venire nel tuo locale o ordinare da asporto.

Non privare il tuo cliente di questo momento.

In questi casi l’anticipazione del piacere è davvero parte del piacere stesso.

Non sfruttarla a dovere è un peccato madornale.

Errore 2 – Influencer marketing per mera visibilità

Ti racconterò cosa ne penso della tanto diffusa pratica del “ti faccio mangiare gratis in cambio di visibilità che Dio solo sa se porterà clienti” passando il microfono a Lele Usai, chef stellato de “Il Tino”.

In uno dei suoi post ha rimesso elegantemente a sedere l’influencer di turno che cercava di scroccare un pasto per 7 persone al suo ristorante.

Un perfetto piano da “manuale dello scroccone” quello organizzato una food blogger per lei e le sue amiche. Se non fosse che lo chef Usai si è ribellato e ha denunciato sui social la richiesta arrivatagli dal gruppo di sedicenti influencer.

“Buonasera, sono una blogger professionista, fondatrice dell’unica community al femminile in Italia di blogger di viaggio. Con un gruppo previsto di 5-7 blogger (numero preciso da confermare) faremo una visita guidata al museo archeologico di Ostia Antica e al Museo delle Navi romane di Fiumicino. Vi scrivo per proporvi una collaborazione per il 10 febbraio visto che siete in zona, e in cambio della vostra ospitalità offriamo promozione attraverso i profili social delle singole partecipanti e della community, oltre a citarvi tra le attività del tour sul magazine e sui nostri blog, da cui i prossimi turisti a Ostia prenderanno spunto per i loro itinerari”.

La risposta dello chef:

“Se vorrete venire presso uno dei nostri ristoranti ne saremo lieti, ma sia chiaro, pagherete il conto come tutti i nostri ospiti. Questo vi consentirà anche di essere liberi quando racconterete sui vostri canali l’esperienza fatta da noi. Si chiama onestà intellettuale senza conflitti di interessi”.

Infine, conclude la lettera con un post scriptum lapidario in riferimento alla proposta di visibilità sui canali social:

“P.s. ho visto la vostra pagina IG (Instagram ndr.) ed avete la metà dei follower che io ho sulla mia pagina privata. Saluti”.

Sbam. Prendi e porta a casa.

L’influencer marketing, così come la scelta dei testimonial, può ovviamente avere un suo senso come parte di una strategia ben congegnata, se il personaggio scelto è in linea con il brand, se il target dell’azienda è lo stesso del testimonial, e tanti altri se che non possono essere lasciati al caso. Non mi dilungherò molto in merito perché ne ho già parlato qui.

Tolte le collaborazioni studiate con cognizione di causa, il resto è svendere la propria arte al primo cialtrone di passaggio nella convinzione che un suo follower corra col portafogli in mano a diventare tuo cliente. Questo non vuol dire fare marketing.

Errore 3 – Pubblicità ingannevole

Esistono video con i migliori trucchi usati dai foods stylist per rendere appetibili i loro scatti.

Te ne lascio qui uno:

Sembra tutto molto cool, vero?

Purtroppo, ricorrendo a espedienti di questo tipo, stai consapevolmente ingannando i tuoi clienti con una promessa che non corrisponde alla realtà.

Che serva da monito il caso Taco Bell

A proposito dell’abbaglio troppo abbagliante della pubblicità, la patina subdola della comunicazione che ti parla (in tutti i sensi) alla pancia, citerò solo il caso di Taco Bell, colosso del fast food a stelle e strisce, finito nei pasticci, trascinato in tribunale a causa di pubblicità ingannevole.

L’accusa è relativamente semplice: in poche parole la catena sarebbe stata accusata di servire prodotti molto meno abbondanti rispetto a quanto mostrato sui materiali pubblicitari.

È una storia vecchia come il mondo.

Esistono fior fior di food stylist profumatamente pagati per far sembrare i piatti più appetitosi, golosi e attrattivi di quanto in realtà essi siano.

“Il cibo si sceglie con gli occhi” diceva mia nonna. Saggezza popolare che non sbaglia mai e ha spesso fondamenti di verità scientifica.

Le immagini di cibo ben presentato possono attivare centri emozionali nel cervello, come l’amigdala. Questi centri sono coinvolti nella risposta emotiva e possono aumentare il coinvolgimento emotivo con l’immagine.

Per questo i locali, per promuoversi, ingaggiano questi food stylist: esperti nel presentare piatti in modo che risultino più attraenti di quanto siano veramente, usando tecniche di composizione, illuminazione e posizionamento che rendano il piatto più appetitoso.

Fin qui (più o meno) tutto ok.

Il problema nasce quando questi food stylist, nel tentativo di rendere sempre più attraenti i piatti da promuovere, hanno cominciato a prendersi qualche libertà di troppo.

Fragole ritoccate col rossetto. Purè di patate al posto del gelato. Biglie nella zuppa Campbell per far venir sù gli spaghetti. Vinavil nell’impasto per dare l’idea della mozzarella filante in una fetta di pizza. Sono solo alcuni dei trucchi che usano per rendere i loro scatti così perfetti da rasentare l’inverosimile!

“Si guarda ma non si mangia” è il loro motto.

Hai presente quando da McDonald’s vedi la foto di un Bic Mac alto 20 cm che trasuda salsa e poi ti arriva una polpetta spiaccicata e stopposa grande la metà?

Ecco, il senso di delusione lo conosci. Ed è lo stesso che deve aver provato Frank Siragusa, cittadino newyorkese nonché querelante, quando ha deciso di acquistare una fajita messicana presso un punto vendita Taco Bell.

Quando il piatto arriva al tavolo, lo stomaco di Siragusa si chiude per la delusione. La fajita aveva “circa la metà del ripieno di manzo e fagioli” che aveva visto nella foto del menu.

Mai scherzare con un uomo affamato!

uomo arrabbiato

La segnalazione di Siragusa si allarga fino a coinvolgere anche altre voci del menu di Taco Bell. Crunchwrap Supreme, Grande Crunchwrap e Veggie Mexican Pizza. Tutte macchiate dalla stessa accusa: l’aspetto dei piatti nei rispettivi materiali pubblicitari è assurdamente più abbondante rispetto alla realtà.

Taco Bell viene citata in giudizio e, ovviamente, il clamore mediatico della cosa, oltrepassa la porta dell’aula del tribunale.

Risultato: indipendentemente da quanto sarà il danno economico, Taco Bell ha subito un danno di brand che le costerà infinitamente di più.

A nessuno piace avere a che fare con un’azienda che non mantiene le promesse o irretisce con esagerazioni che non corrispondono alla realtà.

E non vale sono per le immagini: è la stessa cosa che succede se infarcisci il tuo copy con toni e promesse magniloquenti che non fanno altro che farti perdere credibilità.

Il problema è che questo è esattamente quello che avviene di continuo anche nei corsi di copy che vorrebbero insegnarti a scrivere materiali di marketing che dovrebbero, con qualche formula magica riadattata, attrarre clienti a frotte.

Dietro la scusa che “il copy è verità ben detta” non fanno altro che cercare di spiegarti come “ingannare” il tuo cliente restando in una zona grigia per poi pararsi il cul* con giustificazioni tipo “ma era per far capire meglio il concetto”.

Facci caso.

Il copy che viene usato per vendere questi stessi corsi è sempre infarcito di promesse motivazionali che mirano al desiderio di essere più ricchi, più attraenti, più “meglio” per farti fare una scelta “di pancia”.

Esattamente come le foto dei foodstylist nelle pubblicità.

Quante volte hai letto sales letter di corsi di marketing e copy che ti promettevano che, alla modica cifra di 1999,97€ valido solo per oggi, ti avrebbero rivelato il “sistema definitivo per triplicare il fatturato automatizzando l’azienda” o “la tecnica supersegrettissima per trasformare ogni tuo lettore in un cliente disposto a pagarti il doppio del prezzo di mercato?”

Immagino un’infinità.

Ma quello che in realtà stanno facendo è adattare il motto del food stylist.

“Si scrive, ma non devi proprio crederci veramente”.

E tu non devi MAI parlare così al tuo cliente.

Ripeto: mai.

Se qualcuno vende decine di migliaia di euro di corsi ricordando a promesse del genere e riesce a far abboccare qualche sprovveduto, buon per lui e male per il malcapitato.

Se riesce ad andare a letto e dormire sonni tranquilli, non posso farci niente.

Voglio però metterti in guardia dall’applicare queste “tecniche” nei tuoi materiali di marketing.

Infarcirli di promesse esagerate, supercazzole emozionali e magnificazioni campate in aria non è fare copy: è mentire sapendo di me… rda!

Molti di coloro che fanno fatica a vendere i propri prodotti, ricorrono proprio a questo trucco nella speranza o nella convinzione di risolvere ogni problema. Ma quando arriveranno i signori Siragusa del caso, che verranno a chiederti conto delle tue promesse ingigantite e disattese, credimi, è in quel momento che rimpiangerai amaramente ogni singola parola scritta nella tua copy strategy.

Errore 4 – Sottovalutare il potere della Dramatic Demonstration

All’estremo opposto della pubblicità curata agli estremi della finzione, esiste l’errore di non sfruttare per niente il potere delle immagini.

“Preparata davanti ai vostri occhi, è così tenera che si taglia con un cucchiaio”

Lo scriveva il Telegraph di Londra nel 2018, riferendosi alla carne, o ‘ciccia’ per dirla alla fiorentina maniera, dell’Antica Osteria Nandone all’Omomorto, sulla strada del Giogo a Scarperia, nel Mugello.

Il quotidiano britannico ha stilato la classifica dei 13 ristoranti dove si mangia la migliore carne del mondo e l’unico in Italia entrato nella lista dorata è proprio Nandone.

Qui, in un maxi camino con griglia, vengono cotte quelle bistecche che, come riferisce il Telegraph, “si tagliano con un cucchiaio”.

E proprio il fatto di essere “così tenere che si tagliano col cucchiaio” è parte del successo di questa Osteria toscana, che come sempre si trova in un posto dimenticato da Dio e dal mondo.

L’effetto scenico della porzionatura effettuata con un cucchiaio, invece che col coltello, è il modo più spettacolare e visivamente impattante per far passare il messaggio che da Nandone si trova “la bistecca più morbida del mondo“.

Ma è davvero la più buona? Quasi sicuramente no.

Allora è quella cotta meglio? Altrettanto probabilmente no.

Ma in un contesto come quello del cibo, in cui non è possibile creare a parole un’anticipazione efficace di quello che vivrai sedendoti a tavola, una Dimostrazione Scenografica come quella del cucchiaio che affonda nella carne fa presa nella mente più di qualsiasi scialba spiegazione.

E se capiti in zona, e sei un fan della ciccia come lo sono io, quantomeno ti verrà voglia di provarla.

A meno che tu non sia stronzo come il sottoscritto, che ci è passato per due volte: sempre nei giorni di chiusura.

giphy bestemmie

Tu hai già pensato a come creare una Dramatic Demonstration del tuo prodotto o del tuo servizio, visivamente ed emotivamente memorabile per i tuoi potenziali clienti?

È una componente fondamentale dell’efficacia del neurocopy.

Non solo ti permette di comunicare visivamente concetti astratti e intangibili che a parole farebbero poca presa, ma può esserti utile da inserire essere in un infomercial e nei video delle tue ads, oltre a contribuire a rafforzare il tuo posizionamento e addirittura consolidare o determinare il tuo payoff.

Se hai bisogno di un aiuto nel crearla, noi siamo a tua disposizione per creare la strategia più indicata per il tuo caso, come abbiamo già fatto per tanti nostri amati clienti del mondo della ristorazione.

E ricorda una cosa:

anche nel food, il copy da solo non sarà mai sufficiente

Massimo Pasqual, un cliente che amiamo (così come i piatti che si svuotano a velocità sospetta quando andiamo a trovarlo) oltre a Mystic Burger ha creato un altro concept di ristorazione di cui sono innamorato.

Ha a che fare con la pizza. Ma dire che è una pizzeria non rende neanche vagamente l’idea.

Innanzitutto lo scontrino medio (infrasettimanale) nel suo locale è di 41€, il che lo pone ben al di sopra di qualsiasi pizzeria “classica”.

Ma è soprattutto il livello di ricercatezza di ingredienti e abbinamenti pazzeschi a caratterizzare l’offerta gastronomica del Rito.

Impasti fatti con nocciole e burro di patanegra, salumi affinati al gin, formaggi d’alpeggio, 50 varietà di pomodori diversi…

Ma quanti locali con prodotti e cucina clamorosi, a volte anche stellati, faticano a mettere i clienti a sedere?

La qualità è bon lontana dall’essere sufficiente. È per questo che chi si occupa della tua strategia di marketing deve riuscire non solo a comunicarla questa qualità, ma deve progettare iniziative personalizzate sul cliente, sul settore e sul pubblico.

È proprio quello che facciamo da tempo con Il Rito: unendo strategia, copy, automazioni che permettono a realtà estremamente valide di essere conosciute.

Caso studio: Il Rito

Tutti sanno che nella ristorazione i giorni che vanno dal lunedì al giovedì non sono proprio rose e fiori e spesso costa più tenere aperto che chiuso.

Se poi il locale ha uno scontrino medio che è più del doppio della media, riempire i tavoli diventa ancora più felice.

E se ancora non hai un locale in centro a Milano, ma in un paesino della Brianza, in mezzo alla brughiera, dove la gente di norma va a letto alle 21 per poi tornare a lavorare il giorno dopo, è ancora peggio.

E invece i principi alla base di tutto ciò di cui ho parlato finora hanno funzionato anche in questo caso.

Con Max abbiamo prima creato un concetto di ristorazione e degustazione legato alla pizza, poi con l’unione di copy e campagne siamo riusciti a comunicarlo nel modo giusto.

Un mercoledì (il giorno peggiore dei turni infrasettimanali) al Rito non solo c’era il sold out, ma hanno dovuto organizzare il servizio su più turni.

P.S. Parliamo di un locale da 90 coperti in un mercoledì di fine novembre. Non della pizzeria di Zu Tonino con le sedie in plastica e la margherita a 4€…

No. Non è una questione di campagnette e qualche click qua e là.

Tre turni SOLD OUT out su due locali (con impennata di ordini delivery) erano già un ottimo risultato, ma abbiamo voluto alzare il tiro.

Uno dei problemi dei ristoranti è che a volte qualcuno prenota e poi disdice, facendo saltare inevitabilmente qualche coperto.

Abbiamo pensato di risolvere questo limite unendo al copy e alle campagne anche un sistema di pagamento anticipato, con l’obiettivo di gestire meglio i costi dell’evento.

Parliamo di una degustazione che si terrà il prossimo 21 dicembre, un periodo in cui sono quasi tutti già organizzati per le feste di Natale. Eppure in due settimane abbiamo ricevuto le prime 150 prenotazioni, registrando il SOLD OUT.

Zero inganni. Zero promesse pompate. Zero testimonial acchiappa like. 

Ottimo prodotto e buon vecchio copy inserito nella giusta strategia e in un ingranaggio che funziona.

Se anche tu vuoi poter raccontare in prima persona risultati come quelli che hai letto, contattaci QUI

E se il tuo settore è proprio quello della ristorazione… beh, sappi che non mancheremo di testare in prima persona tutto il menù ed essere certi di conoscerne ogni sfumatura prima di poterlo vendere.

Che non si dica che non mi sacrifico per la felicità dei miei clienti!

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