«Bella si aspetta di venir mangiata dalla Bestia, ma poi si addormenta e sogna un bellissimo giovane che la prega di liberarlo dalle sue sembianze, promettendole che sarà più felice con lui che con una famiglia che non la merita. […] Vede una dama che le dice di non rimpiangere ciò che ha lasciato e di non farsi ingannare dalle apparenze.»
(La Bella e la Bestia)
Se Disney avesse voluto adattare la fiaba di Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve a un pubblico di neuropsicologi anziché di bambini, avrebbe detto qualcosa del tipo:
«Bella, vittima dell’halo effect, si aspettava di venir mangiata dalla Bestia, che essendo così brutta non poteva che essere feroce e cattiva.
Ma poi si addormenta e sogna un bellissimo giovane – che essendo così bello era per forza una persona buona e dal cuore d’oro – che la prega di liberarlo dalle sue sembianze.
Per finire vede una dama, che le dice di essere consapevole che sta giudicando male una persona per colpa di un bias del nostro cervello che la porta a farsi ingannare dalle apparenze».
L’halo effect è un errore cognitivo che ci porta a esprimere un giudizio generale basandoci sull’amplificazione di un giudizio specifico.
In italiano lo chiamiamo effetto alone, proprio come le macchie.
L’alone è quel disastro che crei se provi a pulire una goccia d’olio sulla camicia e per errore espandi l’unto dove prima era pulito.
La goccia d’olio è la singola caratteristica che vediamo (per esempio l’aspetto estetico) e a cui attribuiamo un aggettivo (per esempio “bello”).
L’alone tutt’attorno è l’estensione di quell’aggettivo a caratteristiche che senza quell’alone non sarebbero state minimamente toccate.
Questo è il motivo per cui Disney palesa l’antagonista dei suoi cartoni con un’ingenerosa presentazione estetica
Il Re Leone ha una chioma folta e curata che neanche le tipe quando escono dal parrucchiere.
Il fratello cattivo, Scar?
Tanto per iniziare il suo nome vuol dire cicatrice…
Il nostro cervello pensa di aiutarci facendoci arrivare a conclusioni rapide, insomma, ci fa risparmiare un duro e lungo lavoro di valutazione. Ma spesso nella vita reale ci si ritorce contro.
Essere consapevoli e ammettere che tutti cadiamo vittima di questo bias non solo può aiutarti a evitare conclusioni sbagliate, ma puoi anche imparare a sfruttarlo a tuo favore!
Perché devi prendere le statistiche di successo con le pinze
Tutti noi imprenditori vogliamo fare le scelte giuste e spesso prendiamo ispirazioni dalle mosse dei più grandi.
Non è un principio sbagliato di per sé, a patto che tu sappia leggere le circostanze di quella mossa e i principi che ci sono dietro.
Acquisire questa capacità o affidarti a qualcuno che sappia farlo quando progetti il marketing della tua azienda, ti evita di fare dei copia e incolla con risultati impietosi per la tua credibilità e il tuo fatturato.
Troppe agenzie infatti selezionano aziende con risultati impressionanti nel lungo termine con un obiettivo:
mettere insieme dei dati per estrapolare le strategie esatte che hanno determinato quelle performance.
Purtroppo molti di questi dati provengono da fonti contaminate dall’halo effect.
In Creative Destruction: Why Companies That Are Built to Last Underperform the Market—and How to Successfully Transform Them, Richard Foster e Sarah Kaplan dell’azienda di consulenza McKinsey, chiariscono che le cause di ottime performance a lungo termine, identificate dagli autori di questi studi, sono più precisamente attribuzioni fatte ad aziende che erano state selezionate proprio per la loro performance a lungo termine.
Provo a farla più facile.
È come se selezionassimo 10 culturisti per estrapolare la strategia che gli dà quel fisico e scopriamo che molti di loro mangiano tre chili di pasta al giorno.
Questa azione è attribuibile a loro, ma non è una prova che quella strategia estrapolata darà a tutti gli uomini quello stesso fisico.
La stessa azione messa in pratica da altre persone, avrebbe un peso diverso (anche sulla bilancia!)
Se però seleziono 10 persone che hanno già scolpito un corpo di vene e marmo, non posso sapere con esattezza quanto peso ha avuto ognuna delle scelte compiute dal singolo culturista nel raggiungimento del risultato finale.
Una persona che non fa gli stessi allenamenti e inizia a mangiare tre chili di pasta al giorno è probabile che inizi a soffrire di infiammazioni e vada in sovrappeso.
Allo stesso modo, suggerire alle aziende di seguire le orme dei grandi per arrivare a un successo duraturo sarà anche allettante, ma non è supportato da prove.
E se anche i dati raccolti per creare un pattern da replicare funzionassero, sarebbero comunque contaminati dal contesto: il mercato cambia, i concorrenti cambiano, lo staff cambia.
Horn effect: l’effetto alone vale anche al contrario
Un esempio di quanto le circostanze influenzino le performance di un’azienda ce lo da Cisco, multinazionale specializzata nella fornitura di apparati di networking.
Negli anni 90 dominava i mercati.
L’opinione pubblica la teneva sul piedistallo in quanto tutte le sue scelte erano fatte con sacrosanto criterio: strategia di business, marketing, servizio clienti ecc.
Quando nel 2020 scoppia la bolla tecnologica, le azioni di Cisco crollano circa dell’86%, ed ecco che l’opinione pubblica cambia idea e inizia a parlare di strategia sbagliata, marketing scadente e servizio clienti in decadenza.
Oggi Cisco è ancora una delle aziende leader del suo settore.
La cosa interessante è che durante la bolla l’azienda non aveva cambiato un bel niente.
Semplicemente il pubblico ha preso un giudizio negativo su un aspetto (le azioni che crollano) e lo ha esteso a tutta la struttura interna di Cisco.
Come dicevamo, se è brutto fuori è brutto dentro.
È l’Halo effect al contrario. Che oltre ad “alone”, in inglese vuol dire anche “aureola”.
Tradotto, è proprio lui.
L’effetto corna, in contrapposizione all’effetto alone di luce.
Il solito scontro danbrowniano tra Angeli e Demoni.
Perché usare male l’effetto alone renderà il tuo cliente insoddisfatto anche se fai un ottimo lavoro
Le statistiche contaminate dall’halo effect non sono solo quelle che raccolgono dati dei casi di successo delle Big Company.
Sono le stesse usate da quelle aziende che vogliono accaparrarti come cliente “falsando” i casi di successo a disposizione.
Alcune agenzie provano ad attirare l’attenzione del pubblico con promesse da bava alla bocca, creando annunci che però rischiano di innescare l’effetto opposto.
Magari ti saranno capitate davanti agli occhi sponsorizzate di agenzie che sbandierano il miglior caso studio di sempre per rassicurarti di finire in buone mani se decidi di ingaggiarli.
“Ecco il caso studio di Tizio che grazie a noi ha aumentato il fatturato del 665%”.
Se hai dei casi di successo così, ben fatto. Ma occhio a come usi la testimonianza.
Non ti sto dicendo che se hai dei casi studio bomba non li devi usare per attirare nuovi clienti.
Certo che puoi usarli, devi.
Ma non come promessa di risultato che puoi garantire ai tuoi clienti.
Titoli del genere nel copy di Propagando, nelle nostre mail, nelle nostre ads non li trovi, anche se abbiamo casi di successo con aumenti di fatturato fino al 1200% in meno di tre mesi.
Ma non ci costruisco tutto il marketing attorno.
Il motivo è uno.
Non è la media. Sono casi singoli.
E le eccezioni NON puoi venderle come biglietti da visita
Se ti prometto il 600% e poi tu fai “solo” un 50%, magari ti incazzi perché il risultato è al di sotto delle aspettative che ti ho creato. E c’hai pure ragione.
Questo tipo di strategia è iper usata da quelle agenzie o da quei freelance che vogliono fare in modo che tu pensi “ehi, anche io voglio fare tutti sti soldi”.
Il professor Wirtz della National University of Singapore, nello studio A critical review of models in consumer satisfaction, precisa che i tuoi clienti si creano delle aspettative sulle performance della tua azienda durante il processo decisionale, ma la percepiscono realmente solo mentre stanno utilizzando il tuo prodotto o servizio.
- Se l’aspettativa è confermata, il cliente è contento.
- Se l’aspettativa è superata, il cliente è molto contento – l’aspettativa è disattesa, ma in modo positivo.
- Ma se l’aspettativa viene disattesa, il cliente non è contento.
Molti “esperti di marketing” ti fanno promesse basate su un unico caso studio, il migliore che hanno. Ma anche in questo caso la statistica è contaminata e ha presa sui clienti grazie all’halo effect.
«Tutto qua?»
Come puoi usare l’effetto alone a tuo vantaggio
Se il tuo cliente apprezza molto i contenuti del tuo sito, la prima cosa che vede, sarà molto più facile che il suo giudizio positivo si estenda al resto dei tuoi servizi.
Lo psicologo della Yale University, Abelson, in Theories of Cognitive Consistency, spiegava che l’effetto alone non fa altro che riflettere la tendenza umana a cercare una coerenza cognitiva.
Se il tuo cliente si è fatto una prima opinione su di te, si impegnerà per rimanere coerente con la sua posizione.
Al nostro cervello non piace fare il volta bandiera.
Come neurocopywriter, questo è uno dei motivi per cui non mi stancherò mai di dire che ogni pezzo che scrivi per comunicare con il tuo cliente, deve essere preparato come se fosse l’unico e solo pezzo che quel lettore leggerà mai.
Non ti serve a niente avere un paio di articolo “buoni” sul sito e poi scrivere newsletter, salesletter, post su Facebook “di getto” solo perché chi si occupa di marketing insegna che la tua presenza deve essere costante.
Se la tua presenza è costante, ma nel modo sbagliato, rischi che il tuo lettore cada vittima dell’Horn effect: entra per la prima volta in contatto con te, si becca il post del lunedì scritto tanto perché era lunedì e sul tuo sito doveva uscire l’articolo di inizio settimana… e ti bolla come uno che non ha niente per lui.
Questo bias è all’opera, che ti piaccia o meno.
Già che tutti ne siamo vittima, usiamolo affinché ci remi incontro e non contro
Il “trucco” sta tutto nel curare ogni comunicazione del tuo marketing: strategia e qualità devono essere un’ossessione.
E non vale solo per la tua presenza online.
Progetta anche il materiale da inviare a casa del tuo cliente come se fosse l’unica cosa che gli resta per ricordarsi di te. Vuoi che il tuo materiale finisca dritto nell’immondizia insieme ai volantini del supermercato o che venga conservato e tenuto a vista?
Potrebbe sembrare una domanda retorica. Ma non lo è.
Molte aziende, innamorate dei loro prodotti, servizi o offerte, pensano che la forma e la confezione siano irrilevanti una volta che il cliente capisce il vero valore del prodotto o servizio.
Parliamoci chiaro.
Un prodotto o servizio che mantenga la sua promessa è l’ABC di una azienda che abbia senso di esistere, ma non può essere tutto ciò su cui punti per conquistare il cuore (e il portafogli) del tuo cliente.
Se vuoi dire al tuo target che il tuo prodotto è composto da materiale di prima qualità per cui non badi a spese, e glielo scrivi in un documento Word stampato su un foglio formato A5 in bianco e nero perché qualsiasi altra opzione studiata a tavolino, progettata da un grafico, stampata a colori su materiale di qualità era troppo cara e richiedeva la partecipazione di vari professionisti…
… sii consapevole che il primo competitor che si presenta con un abito meglio confezionato del tuo, grazie all’effetto alone eserciterà un fascino più forte sul tuo cliente.
E se lo porta a casa.
P.S. Vale anche se il tuo competitor ha meno qualità da offrire.
La morale di tutto ciò è che dobbiamo prendere con le pinze le statistiche a nostra disposizione, soprattutto se le usiamo per decidere le nostre strategie di marketing.
Interpretazioni e confronti possono essere totalmente inattendibili se le fonti sono contaminate dall’effetto alone
Ne dobbiamo tenere conto sia quando le troviamo in libri e corsi di formazione, sia quando siamo tentati a usarle a nostro vantaggio senza conoscere gli effetti indesiderati che strategie simili possono avere sulla nostra azienda.
Tienilo in considerazione quando decidi come rivolgerti ai tuoi clienti.
Sono ancora troppi i presunti professionisti che – in buona fede o meno – creano strategie basate su casi di successo “eccezionali” senza sapere esattamente su che meccanismi poggiano tali strategie.
Solo alcuni meccanismi sono immutabili: quelli che governano il nostro cervello e ci portano a prendere decisioni.
Sono gli stessi meccanismi da quando la specie umana esiste, ma sono innumerevoli e con molteplici varianti.
Conoscerli e sapere quando e come usarli nel tuo materiale marketing non è un lavoro che si può improvvisare.
Ignorarli vuol dire investire in campagne marketing per poi incrociare le dita, sperando funzionino.
Se fossimo a un centro scommesse sarebbe un altro discorso, ma quando si tratta di mettere mano alle casse della tua azienda, non ti consiglio di agire così, a sentimento.
Il marketing è un investimento nel momento in cui ribadisce il tuo posizionamento e fa capire al tuo cliente perché la scelta migliore per lui è affidarsi a te e soprattutto ti porta indietro più di quello che hai speso per realizzarlo.
Puoi ottenere questo risultato solo il tuo copy è progettato e analizzato nel dettaglio in base a un’articolata conoscenza dei meccanismi decisionali del tuo target.
La buona notizia è che Propagando è l’unica agenzia di neurocopywriting in Italia e l’unica che fa ruotare tutta la scrittura dei tuoi materiali di marketing attorno alle basi scientifiche della psicologia comportamentale
Il copy scritto secondo un sapiente uso dei meccanismi decisionali del cervello dei tuoi clienti è l’unico che permette a chi legge il tuo materiale marketing di conoscerti e riconoscerti come unica e migliore soluzione per lui.
Se anche tu vuoi fare affidamento su materiali di marketing che vendano e consolidino il tuo posizionamento, ci trovi QUI
Saremo felici di aiutarti a creare la comunicazione ideale per la tua azienda trasformando i principi scientifici della neuropsicologia nel più grande alleato del tuo tuo marketing.