Le vie del marketing sono infinite… ma quali ti portano più soldi e clienti?

Condividi questo articolo

Stati Uniti d’America, 1898.

Alexander Wilton, uno scozzese immigrato nell’Ohio, ha deciso di rischiare il tutto per tutto. 

Non vuole più continuare a fabbricare biciclette: ha deciso che il business del futuro è in  quelle pericolose carrette a motore chiamate automobili.

La sua versione è poco più di una carrozza con le gomme: ha ben 10 cavalli e viaggia alla fantascientifica velocità di 55 chilometri all’ora (!).

Siccome è testardo come tutti gli scozzesi, decide di acquistare una pagina dello Scientific American e di pubblicizzarla.

“Abbandona il cavallo. Risparmia l’ansia e i soldi che ti costa tenerlo. Far camminare la mia macchina ti costa mezzo centesimo a miglio.”

Al giorno d’oggi, leggendo qualcosa del genere ci viene solo da ridere forte. Ma all’epoca non era così. Riuscì a venderne addirittura 21, al non trascurabile costo di 400 $ (un quarto dello stipendio annuo di un chirurgo).

Da allora, il settore è diventato colossale. Solo in America, l’automotive è un settore che produce il 2,7% del PIL, nella fattispecie 545 miliardi di dollari. Con questo giro d’affari, non basta più scrivere che “questa macchina è meglio di un cavallo”. 

Ci sono decine di case automobilistiche, che devono vendere dozzine di modelli a miliardi di persone; ormai su tutte le auto c’è più tecnologia che sul ponte dell’astronave Enterprise.

Non è facile convincere l’uomo della strada a comprare una Volkswagen piuttosto che una Toyota, e sicuramente non ci si riesce mostrando una foto al grido “và che bellezza, mettitela in garage”.

Serve “qualcosa di più”. 

Questo è uno dei motivi dietro al fatto che con gli investimenti nel marketing dei grandi produttori di auto ci si comprano intere cittadine, fino all’ultimo chiodo nei muri.

Per fare un esempio, General Motors nel 2017 ha speso quattro miliardi di dollari in pubblicità.

Quattro miliardi iniziano a essere tanti anche per una big company: sono i PIL del Togo e del Burundi messi insieme; come si fa a capire se vale la pena ri-comprarsi due Stati del mondo il prossimo anno… o se è più utile reinvestire in altri settori aziendali?

Dando per scontato che chi si occupa del marketing in queste mega corporation non sia 100% fesso, spendere tutti quei soldi deve per forza avere un’utilità piuttosto forte (per i meno attenti, l’utilità è promuovere la propria macchina).

Noi comuni mortali lasciati fuori dai grattacieli di Detroit, tuttavia, non possiamo sapere quanto possano davvero fruttare spese così astronomiche.

Istintivamente, potremmo tracciare un rapporto tra vendite e pubblicità, convertirlo in percentuale e capire a spanne che successo ha avuto tutto il marketing dell’anno…

… solo che davanti a cifre così monumentali è praticamente impossibile (e poco onesto in mancanza di informazioni precise) assegnare coefficienti di successo precisi a singole campagne o singole attività. 

Se sei un gigante nel tuo settore, è chiaro che il tuo concetto di “investimento pubblicitario” è molto diverso da quello della classica PMI.

Ai livelli di General Motors, Coca-Cola e simili colossi, il principio fondamentale da rispettare diventa quello di creare “brand awareness”. 

Prendi Coca-Cola, per dire.

Spende miliardi di dollari, per anni e anni, e per poco non si fa soffiare il primato di vendite da Pepsi… 

… in compenso, dopo anni di campagne ubique, possono affermare che “Coke” è la seconda parola più compresa e utilizzata in tutto il mondo (e se teniamo conto che la prima parola più compresa e usata è la parola “OK“, direi che più brand awareness di così si muore).

Se però sei un po’ più piccolo di GM e Coca-Cola – o comunque più attento – la scelta più logica rimane quella di porre in essere azioni di marketing che mostrino un rapporto preciso tra soldi spesi e rientro economico.

L’unico “errore” da non fare mai è limitarsi a continuare a fabbricare un prodotto o erogare un servizio senza prendere in considerazione l’idea di avere un piano marketing adeguato e funzionante.

Riesco a empatizzare con gli imprenditori che dal niente aprono ditta con un prodotto o servizio buono.

Siamo abituati a sentir parlare sempre di fallimento, ma esistono anche aziende che esplodono e, dato il trend crescente, non considerano neanche il marketing. Magari sanno che è importante però… voglio dire.. “Finché la barca va, lasciala andare”, eh?

Questo prim’ancora di essere un errore a livello strategico, è un peccato a livello personale.

È un peccato perché grazie a una strategia di marketing corretta si possono raggiungere ancora più persone…

è un errore perché non sei da solo.

Le quote di mercato, se non hai “educato” i tuoi clienti sul perché dovrebbero venire proprio da te, ti possono essere portate via da altri che vengono dopo di te e ti emulano perché vedono della ciccia attaccata all’attività. 

Lo so, non è la prima cosa che pensi quando sei “il primo a fare qualcosa”, però in un futuro non troppo lontano è molto probabile che tu non lo sia più. Una comunicazione intelligente serve anche per evitare questo il rinculo.

Le montagne dell’economia non sono come quelle dell’Himalaya, dove la cima è altissima ma non si sposta da lì.

Senza un posizionamento corretto sul mercato determinato e comunicato fin da subito, diventano vette che continuano ad alzarsi ogni giorno, senza preavviso e senza soccorso alpino: un giorno sei in cima, il giorno dopo non lo sei più…

«Ma nessuno ha il mio prodotto, e nessuno è in grado di offrire la stessa qualità e la stessa cura dopo l’acquisto! Se vogliono il meglio devono comunque venire da me!»

Assolutamente vero.

In passato, un prodotto unico era come una fortezza inespugnabile. Al giorno d’oggi, dati gli strumenti di comunicazione, la globalizzazione, Amazon, Internet (social annessi), chi costruisce tutto il suo brand solo sull’esistenza di un prodotto rischia di fare la fine del pinguino di Adelia.

Il pinguino di Adelia è il punk del mondo pigoscelide. Basso, tozzo e battagliero, è considerato assai peculiare per il suo comportamento egoista e impavido.

George Murray Levick, un chirurgo della Marina Britannica, racconta nelle sue memorie di come i pinguini si ammucchiassero sul bordo del ghiaccio, in grandi folle che guardavano il mare.

Nessuno si tuffava, fin quando la folla non scelse un esemplare e non lo spinse di forza giù dalla riva. Solo allora, accertato che il primo nuotava tranquillo, tutti gli altri si tuffarono.

Per le aziende spesso funziona nello stesso modo

Ce n’è una che, con fatica e coraggio, apre la via a un nuovo prodotto, o a un nuovo settore commerciale.

Tutti i concorrenti restano in attesa, osservando i suoi risultati e i suoi errori e solo quando hanno raccolto abbastanza informazioni, senza alcun rischio, si scatenano a farle concorrenza.

È esattamente quello che ha fatto Elon Musk, con la sua Tesla.

La prima auto elettrica di grande diffusione infatti non è stata la Model S, ma la EV1, prodotta dalla General Motors nel 1996.

Sarebbe estremamente lungo raccontare tutta la storia, ma basti dire che andò avanti fino al 2003, quando l’azienda ritirò tutte le auto che aveva noleggiato ai clienti per demolirle.

Musk, in tempi più recenti, disse che quello fu il momento in cui decise di entrare nel settore delle auto elettriche; aveva visto il potenziale del mercato, aveva una tecnologia più avanzata, un’azienda più snella e soprattutto, non aveva intenzione di commettere gli stessi errori fatti dalla GM prima di lui.

Oggi la EV1 è una curiosità per appassionati, mentre di Tesla in strada iniziamo a vederne parecchie.

La morale della storia è semplice. Il marketing è qualcosa di fondamentale per le aziende, a prescindere dal successo.  

Anzi, è proprio nel momento della crescita che hai le possibilità di sfruttare a dovere le capacità del marketing: con una struttura stabile e una buona riserva di fondi, una campagna ben riuscita è la doratura del giglio.

Oggi il mondo del marketing è pieno di “vie” perseguibili, e alcuni imprenditori potrebbero avere difficoltà a scegliere quale imboccare.

Difficoltà che possono nascere sia dall’indecisione, sia dal fatto che uno magari è caduto tra le braccia di profeti improvvisati pronti a venderti l’ultima moda e fare soldi loro anziché concentrarsi a farne fare qualcuno a te.

Alcuni ne sono usciti con le ossa rotte (e il conto in banca alleggerito) mettendo giustamente una crociona sopra ogni futuro tentativo di migliorare il proprio marketing.

In genere, rimasti scottati dalla prima esperienza, tendono a stare sulla difensiva e ad affidarsi a ciò che sanno fare meglio. Ovvero il loro lavoro.

Al marketing non pensano più, sostituendolo con una dignitosa inerzia che, tra l’altro, è una delle (non) vie perseguibili.

Ma vediamole tutte insieme e facciamo chiarezza.

VIA DEL MARKETING #1 – L’amaro far niente

La strada più facile da seguire è quella dell’inerzia.

Dopotutto, il sogno dell’imprenditore medio è portare l’azienda ad un posizionamento stabile, con la speranza di potersi adagiare, mentre osservano crescere i guadagni e scendere i rischi.

Ora, idealmente tu puoi avere tutto il controllo possibile sulla tua azienda in questo senso… ma non hai nessuna possibilità di prevedere o controllare il mercato. In questo ambiente, la vecchia saggezza contadina “finchè dura fa verdura”, non si applica.

Ti ricordi quando Internet era giovane, qui era tutta campagna e il miele stillava dagli alberi? Battute a parte, fino al 2007 se volevi un telefono multifunzione serissimo e professionalissimo c’era un solo nome a cui rivolgersi. BlackBerry.

Ne ho avuti tre, e nessun touchscreen può competere con quelle micro tastiere. Ma sto divagando.

La RIM, che produceva tutta la linea BlackBerry, ha continuato a vivere di rendita per ooootto lunghissssimi anni. Poi, un bel giorno del 2007, il mondo si sveglia e sente per la prima volta la parola iPhone

Solo allora i grandi capi di BlackBerry iniziarono a spingere pesantemente sulla pubblicità… ma hanno fatto come la lepre, si sono svegliati troppo tardi e la iTartaruga li aveva già superati da mo’ – trasformandosi in una testuggine gigante particolarmente vorace di quote di mercato BlackBerry.

Non sto crocifiggendo BlackBerry, sia chiaro (a posteriori siamo buoni tutti); sto solo analizzando dei dati a scopo didattico.

Di base incentravano la maggior parte del loro dominio su due esclusive: la possibilità di ricevere email e il primo servizio di messaggistica istantanea (Whatsapp non esisteva nemmeno negli appunti di Jan Koum e Brian Actom).

Quando hanno perso il monopolio, tutto è andato a catafascio.

Ora, è vero che non sono falliti… ma il finale non è stato proprio “Disneyano”.

I loro introiti sono scesi da un miliardo di dollari a sessanta milioni e la gente che prima usava BlackBerry era tranquillamente pronta a fare carte false per avere un iPhone – ‘ntu culu al BlackBerry.

Non sputo su sessanta milioni, ce ne fossero… ma ca**o, eri a un miliardo!

Comunque.

Se sei convinto di essere arrivato, di avere tutto ciò che volevi, di non voler lasciare nulla ai tuoi discendenti, di mantenere un’azienda solo per flexare (pavoneggiarti in modo ruspante con) gli amici alle apericene, e allo stesso tempo non ti interessa cosa produci, resta tranquillamente fermo. Possibilmente a tre metri da me, perché con gli stereotipi anni ’80 non ci parlo. 

Se invece sei sano di mente, avrai già capito che l’inerzia è male. Male assoluto. E il far niente, in questi casi, non è per niente “dolce”. Perché ok “finché la barca va“: ma va anche mentre va verso una scogliera… ma non è che la devi “lasciar andare” per forza.

VIA DEL MARKETING #2 – Il fai da te

Sfatiamo subito un mito dicendo le cose come stanno: fare marketing è un lavoro.

Lavoro inteso come applicazione di energia, di cervello e di fatica. Non è qualcosa che si fa brandendo uno smartphone e parlando come un pizzaiolo di “Bruklin”. E vista la sua rilevanza, non è qualcosa che si può fare nel tempo libero.

La pizza in casa. Ecco la pizza in casa puoi effettivamente farla nel tempo libero. Il marketing no.

Se intendi studiare realmente come creare una campagna, strutturare una strategia, scrivere i materiali giusti nel modo corretto… ci rivediamo tra qualche anno, quando magari tutto il mercato sarà completamente diverso da com’è oggi.

Oltretutto, se sei un imprenditore solitario, chi dirige l’azienda nel frattempo?

O deleghi con tutti i relativi problemi di fiducia, sicurezza e costi… oppure vai di mitosi cellulare e ti duplichi (col rischio di lavorare male in due campi, anziché bene in uno solo).

Lo so, c’è un mare di formatori che asserisce quanto sia utile studiare con loro, perché conoscere la materia ti permette di sapere se qualcuno lavora bene o male. Può avere un senso, ma i quel caso basta una leggera infarinatura. 

Io so qualcosina di meccanica, abbastanza da incazzarmi se il meccanico mi versa l’olio Cuore nel motore. Ma non mi metto a discutere di pressione delle turbine o percentuale di sodio nelle valvole: piuttosto faccio un po’ di ricerca, scelgo un professionista capace e, accertato che sui freni non mi mette i dischi dei Metallica,  mi fido di lui. 

Il discorso può essere diverso se si tratta di una società… ma c’è un vecchissimo aforisma, secondo il quale le migliori società sono quelle in cui un socio ci mette i soldi, uno la sa gestire, e l’altro sa come si vende (aka, sa fare marketing).

VIA DEL MARKETING #3 – Agenzia creativa di marketing

Molti vedono delle pubblicità creative di grandi brand e prendono ispirazione da questo stile per il loro marketing.

Al di là delle differenze di budget a disposizione tra una PMI e un colosso mondiale, l’obiettivo con cui una multinazionale crea pubblicità oggi è (o rappresenta un tentativo di) difendere la sua posizione nel mercato.

Negli anni purtroppo sono finiti tutti a fare a gara di visibilità con i competitor piuttosto che assicurarsi le proprie quote di mercato – e magari aggiudicarsene altre (come la gente in palestra da me, non guardano più il proprio fisico ma quanto fanno di panca gli altri).

Per evitare di prendere con la pala i milioni dalla cassa aziendale e lanciarli nel vuoto, come abbiamo anticipato all’inizio, un’azienda deve capire quanto sta ritornando da ogni investimento.

Obada uiiii!

In un altro articolo avevo citato uno spot Vigorsol in cui un papà rivela al figlio di essere una donna e il figlio, di risposta, rivela al papà di essere una marionetta e inizia a cantare:

«Sono una marionetta IA-IA-O». 

Io non sono nessuno per giudicare, per carità… ma basta anche un’analisi superficiale per capire che uno spot simile non ribadisce il posizionamento dell’azienda né ricorda quantomeno ciò che la rende diversa dalle altre produttrici di gomme da masticare mi dà da pensare…

… in particolare, mi dà da pensare che mandare in mondovisione una pubblicità così non necessariamente serve all’azienda per vendere più pacchetti di cicche; pare fatta per ricordare al suo pubblico che che “esiste” (o per “fare a gara a chi tira più di panca” con la Vigorsol, che sfonda gli schermi con lo scoiattolo che scoreggia una bufera spegnendo un incendio).

Il punto chiave è che l’azienda NON sa quanti pacchetti di gomme sono state venduti grazie a quel tipo di advertising.

Riducendo all’osso il concetto: lanciano un prodotto, hanno un cospicuo budget per la pubblicità, lo investono, controllano quanto ha reso l’investimento pubblicitario, fine.

Ogni azienda è chiaramente libera di investire il proprio budget a suo piacimento.

TU sei altrettanto libero di farlo.

Se però credi di voler sapere che fine fanno i soldi che stai investendo nel marketing, è più saggio evitare come la peste pubblicità che servono solo ai creativi per combattere la noia.

A un imprenditore che non può permettersi di (o, più verosimilmente, non vuole) investire pile di banconote senza sapere quanto ogni singolo investimento abbia fruttato, suggerirei strategie diverse.

Il punto è che le persone vedono tante grandi aziende elargire questi spot da commedia e pensiamo che seguendo il loro esempio saremo innovatori creativi e fighi come loro.

Queste sono connessioni causa-effetto che ci portano a imitare le Big Company di cui ho ampiamente parlato qui.

Te l’ho detto cosa c’è di buono da imparare da loro: il fatto che, al di là di tutto, investono nel marketing aziendale. Come li investono è un altro discorso, ma intanto gli investimenti non mancano.

Stessa solfa per chi avvia campagne di “Influencer marketing” sui social senza misurare quanti stanno comprando grazie all’influencer scelto.

Mi rendo conto che: «Ha 800.000 followers, intanto paghiamolo, sicuramente chi lo segue vorrà usare i nostri prodotti» suona come una meravigliosa scorciatoia…

Ora, non è che denigro in toto questo approccio, è solo che rimane solo uno dei più pericolosi ciuccia-soldi se non si hanno delle basi riguardo posizionamento, marketing, copywriting, analisi di mercato, e via dicendo.

L’unica cosa “sicura” (volendo usare proprio questa parola), è che i loro follower vedranno il tuo prodotto – e neanche troppo, perché non hai idea di quanti soldi molti di loro paghino per comprare follower che dopo manco se lo cagano – ma non che lo compreranno.

A corollario, in questi casi non esiste nessun progetto o strumento per misurare il reale ritorno dell’investimento in termini di vendite. 

Facile misurare i like, i commenti e le impression… però alla banca, al fisco e alla cassiera quando fai la spesa interessa relativamente.

VIA DEL MARKETING #4 – Agenzia di marketing a risposta diretta

Anche se non sono tantissime, ci sono delle agenzie che utilizzano il marketing a risposta diretta: ti scrivono un pezzo in modo da misurare quanto ti ritorna grazie a quel pezzo.

Da un certo punto di vista possono sembrare un passo avanti rispetto alle agenzie che si affidano all’ispirazione legata all’apparizione di un arcangelo rivelatore, e dal punto di vista della “misurazione” lo sono anche.

Purtroppo anche in questi casi c’è un problema, legato alla difficoltà di misurare i risultati dei materiali che stanno preparando per la tua azienda.

Questo deriva dalla scuola di pensiero da cui arrivano. Il marketing a risposta diretta nasce negli Stati Uniti, e questo è (quasi) tutto il problema: hai mai notato “differenze” tra il pubblico americano e il pubblico italiano?

Possiamo dire, senza eccessive esagerazioni, che il popolo del Bel Paese nutre verso i messaggi pubblicitari “troppo belli per essere veri” lo stesso livello di fiducia di un topolino verso un gatto che gli si avvicina con la bava colante e gli artigli tirati fuori.

Sto parlando del marketing “urlato” di pezzi che ricordano anche vagamente roba tipo:

Come guadagnare 7.000 euro al mese stando comodo seduto in poltrona, lavorando 25 secondi al giorno mentre un’ancella in bikini ti sventola una palma rinfrescante.

Certo. Come no. Assolutamente.

Un testo di questo genere avrebbe la stessa credibilità di contenuto che diamo ai pop up “clickbait” che tremano e appaiono come uno scippatore in alcune pagine web.

Il 99.9% dei sistema decisionali di chi li vede entra subito in difesa, comunicandoci una roba tipo: «Li scrivono così perché vogliono farmi cliccare, ma la puzza di fregatura non va via manco con la varichina».

Potrebbe funzionare con gli opportunity seekers e su tutti coloro che cercano quei fantomatici segreti per cambiare vita senza sbatti… ma è piuttosto rischioso basare la solidità della tua azienda su una clientela simile.

Sono un po’ come api che volano di fiore in fiore in cerca della promessa più grossa con lo sforzo più piccolo.

Limitiamoci a dire che non è una situazione auspicabile.

Se vuoi approfondire puoi leggere questo articolo scritto da Andrea dove mostra perché il marketing made in Usa in Italia è morto.

VIA DEL MARKETING #5 – Sito internet SEO

La serie The Office ci viene in aiuto mettendo su un piatto d’argento un esempio che fa proprio al caso nostro.

Per chi non la conoscesse, si tratta di una serie dove la peculiare telecamera sempre presente mostra la vita d’ufficio di una filiale della Dunder Mifflin Paper Company, azienda produttrice di carta. 

In una puntata si cerca di rimediare ai danni creati dalla produzione di un lotto difettoso di stampanti, che dal nulla semplicemente… prendono fuoco!

Ai piani alti nessuno vuole mettere la faccia coi giornalisti ed essere ricordato per fatti così poco “onorevoli”. Tutti però hanno familiarità con la megalomania e dipendenza dai riflettori del direttore della filiale in quel di Scranton, Michael Scott. 

Gli chiedono di rilasciare una dichiarazione in cui sostiene che è tutto in ordine e lui, lusingato, accetta. Finisce in Tv, sui giornali e online… ed è stracontento.

Unica delusione? Il suo video è SOLO il secondo nel sito dell’emittente locale. Ordina a ogni membro dello staff di sospendere i lavori e guardare il video per 11 volte ciascuno. 

Uno di loro chiede: «E chi è il primo?»  

Risposta: «Un professore accusato per errore di pedofilia. Non possiamo lasciar vincere il pedofilo».

Con questo volevo portare alla tua attenzione che “bello essere i primi, ma rimane indubbiamente importante essere ben coscienti di cosa stiamo portando – eventualmente – in prima posizione“.

Per la SEO vale lo stesso: è sacrosanto voler apparire in cima alla classifiche di Google… ma se ti piazzi primo perché rispetti i criteri SEO e chi va dentro il tuo sito esce con un “mhé”, ti stai bruciando clienti ancor prima di farli.

La SEO è importante, ma non viene prima del contenuto.

Pensa a un sommelier col frac che come primo assaggio ti serve tavernello diluito con Gatorade… ecco, stessa cosa: un SEOmmelier senza un buon vino, non farà il tuo cliente felice a prescindere.

VIA DEL MARKETING #6 – Ti affidi al supermega marketing manager laureato

Alle superiori, la prof di lettere provava a sensibilizzare la manica di scalmanati che eravamo sull’etica, la passione, l’importanza di trovare da grandi un lavoro che amiamo e di non venderci al miglior offerente.

Da brava insegnante si era rifatta a un aneddoto che prende come protagonista niente popo’ di meno che il grande dei grandi signor Lorenzo il Magnifico.

Ecco a te un dialogo riadattato in livornese, basato su ciò che ricordo:

«Lore!»

«Dimmi!»

«C’è l’Ambasciatore anestetizza le spezie anche a Lucca.»

«Eh?»

«Puppa! Dai scherzi a parte: gira voce che l’Ambasciatore appena arrivato sia un pezzo da 90 da avere a bordo per forza. Lo metteremo facilmente a nostro servizio, m’hanno detto che è amante del buon vino ed è facilmente comprabile con un eccellente bicchiere.»

«Buttalo fuori.»

«No aspe’… COSA?!»

«Puppamelo in posa! Bene dé, 1 a 1… comunque sì, buttalo fuori. Se io lo posso comprare con un bicchiere, cosa succede se il mio nemico gli dà un fiasco intero?»

Oggi non li chiamiamo più “ambasciatori”, ma quando assumi un mega-manager che non è davvero legato alla tua azienda, la magnifica lezione di Lorenzo il Magnifico, non per niente, resta sempre attuale.

Un manager potrà fare anche un eccellente lavoro… finché non arriva il competitor col portafogli più grosso.

«Arrivederci, grazie e porto il tuo know how e altre info utili con me.»

Gra zie!

Sono tutti dei mercenari che pensano al loro interesse e basta? Non ho detto questo e, visto alcuni episodi passati, non me la sento di confermare manco il contrario.

Nel 1984, l’allora manager di Coca-Cola Sergio Zyman, era fermamente convinto che l’azienda dovesse intervenire con urgenza per tener testa alla concorrente Pepsi che si stava allargando sempre di più nel mercato.

Ecco l’idea: «Bimbi allora, ideona: anche se sono 98 anni che la facciamo e siamo i leader di mercato, sostituiamo la Coca-Cola con una dal sapore migliore e la chiameremo New Coke!»

La risposta del pubblico fu unanime e lapidaria: la gente cominciò a farsi spedire la Coca-Cola originale dall’Europa dove ancora girava… cioè, sono arrivati al contrabbando della bevanda.

Perché è ovvio, no? La tua azienda produce qualcosa che è talmente richiesta da portare i tuoi clienti a farsela arrivare da oltreoceano, che ormai è posizionata come “The real thing“, è la cola originale, la prima, tutto quello che un’azienda possa desiderare… e tu gliela togli dal mercato. Giusto.

Ovviamente dopo 77 giorni la Coca originale viene re-inserita: il caso New Coke passa alla storia come uno dei più grandi fallimenti del marketing – per molti attribuibile all’ego del manager ideatore del progetto.

Wikipedia, a tal proposito, ci fa fare due risate. La prima cosa che spicca nella tabella della biografia dello zio Zyman, infatti, è: 

Education: Harvard University”. 

Un imprenditore che sta pensando di assumere un manager… cosa potrebbe mai chiedere di meglio di uno uscito da una delle migliori università mondiali? Va da sé che gli fa un’offerta che non può rifiutare e lo carica a bordo.

Manco Wikipedia fosse una pagina di satira, due righe sotto specifica per cosa è conosciuto di più: lancio fallito della New Coke.

Il caso è chiuso.

Nota a pié (ginocchio, a essere pignoli) di pagina: non è il caso di ogni manger. Altrimenti invece che aziende avremmo enciclopedie di storie fallimentari e zero casi di successo.

Casi come quello sopracitato sono solo il risultato di ostilità nei confronti del detto “strategia che vince non si cambia”.

Peccato che la maggior parte dei nuovi manager che sostituiscono il mandatario uscente spingono a prescindere verso il cambiamento; dopotutto non è che possono banalmente copiare e incollare ciò che ha fatto quello prima, anche se ha funzionato alla grande… ci sarebbero le basi per “presunzione di inutilità”.

«Dove sarebbe sennò la mia impronta? Qual è il mio contributo?» (un posto dove lasciarti un’impronta fossi l’imprenditore ch rovini ce l’avrei, ma andiamo avanti).

L’entusiasmo di lasciare il loro segno li fa allontanare pian piano dalla linea originale di chi ha ideato l’azienda assicurando, spesso e non volentieri, mutilazioni raccapriccianti del brand.

Ora, mi rendo conto che dalla lettura di questo elenco non sembra una giornata di belle notizie.

Ogni apparente soluzione, di fatto, si trascina appresso un problema, quindi… cosa può fare un imprenditore che sogna qualcosa di più per la sua azienda?

Semplice: basta capire cos’è sbagliato per ogni punto che abbiamo trattato, e raddrizzare il tiro.

Come evitare i problemi delle “soluzioni” appena viste (e far funzionare il tuo marketing)

1. La strada del “Non far nulla

Su questo punto spenderò poche parole, prendendo in prestito le esaustive righe poetiche di Guido Almansi:

«Tra il dire e il dolce far niente,
c’è di mezzo il conto corrente.»

(Nello specifico, il conto corrente che non vede arrivare bonifici e clienti.)

PROBLEMA: assisti a numerosi competitor che raccolgono le preziose quote di mercato nate dal tuo operato, come corvi che ti raziano il campo di grano faticosamente coltivato.

ALTERNATIVA: decidi che fare marketing è cosa buona e giusta, scegliendo la via più sicura da percorrere affinché il gioco valga la candela – e la vediamo tra pochissimo.

2. La strada del “fai da te”

Puoi decidere di usare tutto il tuo tempo libero, se ne hai, per provare a studiare marketing e scriverti da solo i tuoi materiali.

PROBLEMA: servono anni di studio e pratica per arrivare ad un livello accettabile in questo ambito (e non è detto). Potresti studiare i materiali sbagliati e non raggiungere mai un risultato soddisfacente.

ALTERNATIVA: ti affidi a esperti copywriter che hanno studiato per anni i processi decisionali che spingono le persone a comprare, e sono in grado di creare materiali cuciti su misura per la tua azienda.

3. La strada dell’agenzia creativa

Puoi usare tutti i tuoi soldi per creare uno spot simpatico.

PROBLEMA: potresti ottenere un risultato negativo ed essere ricordato come “colui che ha fatto molto ridere”… ma dal quale non c’è motivo di comprare.

Nella peggiore delle ipotesi potresti ottenere qualche risultato mentre gira quella campagna e pensare che abbia funzionato (senza sapere se abbia davvero funzionato o sia un caso).

Allora investi altri soldi in queste pubblicità per poi vedere che non funzionano, finendo per non voler più dedicare fondi al marketing.

ALTERNATIVA: non lasci il tuo fatturato al caso ricordandoti che lo scopo è creare un marketing efficace nella vendita, e non buttare tempo e soldi in marketing “bello ma vuoto”.

4. La strada dell’agenzia di marketing a risposta diretta

Puoi dare i tuoi soldi a un’agenzia di marketing a risposta diretta!

PROBLEMA: sono abituate a produrre un copy “urlato”. Troppo diretto e markettaro per l’Italia. Il risultato che potresti ottenere è quello di diventare fastidioso agli occhi dei tuoi lettori (che faranno a gara ad evitarti, sentendo “puzza di pubblicità”)

ALTERNATIVA: fai scrivere il tuo marketing a chi non si limita a “scopiazzare” da materiali americani. Solo chi è in grado di rendere il tuo marketing invisibile agli occhi dei tuoi clienti, supera la diffidenza e le barriere decisionali e porta all’acquisto.

5. La strada del sito SEO

Obiettivo: visibilità (e basta), con scarsissima attenzione al contenuto e testi non orientati alla vendita.

PROBLEMA: essere i primi su Google non significa essere i primi nella mente del cliente. Non esistono garanzie di vendita portate dalla prima posizione sul motore di ricerca. Se chi entra sul tuo sito non trova materiali che lo motivino a scegliere i tuoi prodotti, l’investimento sarà stato inutile. 

ALTERNATIVA: affidarti a chi ha come obiettivo quello di renderti il primo nella mente dei tuoi clienti. Non importa in che posizione di Google sarai: se i tuoi materiali saranno scritti come neurocopy comanda, i clienti potenziali ti cercheranno, ti troveranno, e ti uccid- pagheranno.

6. La strada del super marketer plurilaureato

Giochi tutto sull’ “esperto” laureato, delegando a lui le decisioni e la responsabilità del tuo successo.

PROBLEMA: aumentano le probabilità che il tuo marketing sia in mano a chi vuole fare esperimenti con la tua azienda per sentirsi realizzato e aggiungere al suo CV il nome della tua azienda invece che portarti risultati.

ALTERNATIVA: affidi la tua azienda a chi è in grado di capire il valore di ciò che hai fatto fino ad oggi e ha la capacità di valutare quali azioni di marketing fanno al caso tuo in base al mercato e ai tuoi clienti.

È forse troppo voler prendere 6 piccioni con una fava? A volte sì, è eccessivo…

… ma non è questo il caso, dato che esiste la settima via:

#7 Propagando: l’unica via del marketing degna della tua azienda

La settima via riguarda una strada che racchiude tutte le alternative che hai appena letto: Propagando.

Alcuni disattenti potrebbero pensare: «Eh, guarda caso!»…

… ma non c’è niente di casuale: Propagando è nata dopo aver studiato il mercato e le sue offerte, proprio per dare agli imprenditori l’alternativa che non esisteva.

Per essere degni di fiducia, soddisfare le aspettative e contribuire con entusiasmo al successo di chi lavora con noi, abbiamo studiato i sistemi decisionali delle persone, focalizzando l’attenzione su ciò che è più importante per un’azienda: i sistemi decisionali d’acquisto dei consumatori.

Qualsiasi “esperto” ti può dire che “la gente decide su base emotiva e giustifica la propria decisione emotiva su base razionale”…

… se poi si limita a toccare l’emotività ignorando nel concreto la fase razionale, non ti permetterà di ottenere l’effetto desiderato (ovvero l’acquisto).

Come se non bastasse, anche chi ti dice che devi far leva sull’emotività non è detto che sia in grado da farlo nella pratica – né che le emozioni scelte siano quelle più adeguate al tuo caso.

Per questo motivo il copy scritto per i nostri clienti ruota tutto attorno ai principi della neuropsicologia, senza che la creatività prenda il posto dell’efficacia della vendita (ma funga semmai da amplificatore).

Ecco perché, ad esempio, prim’ancora di scrivere qualsiasi materiale facciamo un’analisi di mercato per capire cosa fanno i tuoi competitor, così da riuscire a comunicare il messaggio che vuoi trasmettere ai tuoi clienti e il posizionamento della tua azienda nel modo più chiaro, accattivante e coinvolgente possibile.

Non usiamo parole vuote e articoli senza contenuto che mirano solo a posizionarti in cima alle pagine di Google: il nostro obiettivo è posizionati al primo posto nella mente dei tuoi clienti.

Magari nella nostra bio non leggerai che siamo laureati ad Harvard o Yale… ma sicuramente non siamo ricordati per il più grande fallimento nella storia del marketing.

La laurea magistrale alla facoltà di economia di
Pisa, nel dubbio, l’ho presa.

Su questa pagina trovi quello per cui siamo conosciuti tra i nostri clienti.

Qui invece puoi scoprire quali sono le 3 condizioni che devi avere per lavorare insieme 😀

A presto!