Ti ispiri al marketing creativo delle grandi aziende? Ecco di chi è la colpa

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Oggi ho deciso di iniziare con una confessione: non so stare lontano dall’esercizio fisico.

Senza contare il periodo Covid, frequento la stessa palestra da ormai undici anni.

In undici anni ne passano di persone dalla sala pesi. Dal ragazzino che si vuole pompare prima dell’estate, ai mostri che dedicano la vita a diventare controfigure di Hulk.

Ce n’era uno, in particolare, di cui mi ricordo benissimo. Un ragazzo “inspiegabilmente” grosso che aveva muscoli in posti dove i normali esseri umani non hanno nemmeno i posti.

Ricordo che, vedendolo così fisicato, un sacco di novellini andavano a chiedergli come si diventava così grossi e forti.

All’ennesima richiesta stile «Ma te cosa mangi?», fece un mezzo sorriso e tra le altre cose dette, volò in aria questa frase:

«… e poi mangio un chilo di Macine a colazione.»

E no, non stava scherzando. Era giusto una rotellina nell’ingranaggio dei suoi allenamenti, alimentazione, *coff-coff doping coff*. Ma lo faceva davvero.

Un paio di soggetti provarono comunque a ingozzarsi in quel modo. Nella loro testa l’idea di fondo era logica:

“Boia de, questo si scoppia un chilo di biscotti al giorno e poi tira i treni e salta sopra i condomini. Allora de, se mangio lo stesso pacco degli stessi biscotti divento grosso come lui!”

Crunch crunch…

Credo che al terzo immolatosi sulla tazza alle undici di mattina abbiano smesso di provarci, ma non è questo il punto…

il punto è la scorciatoia che ha preso il loro cervello.

Se vedi una persona di successo e vuoi ottenere il suo stesso successo, è facile convincersi che copiare ciò che fa ti farà arrivare dove è arrivato lui.

Questo non si verifica solo in palestra (poveri stomaci).

Si è verificato con i broker di Wall Street, dopo aver visto Michael Douglas in bretelle e pomata… si è verificato con i mafiosi, dopo aver visto Il Padrino…

… e si verifica spesso con le grandi aziende e le loro pubblicità creative.

Ora, è vero che “La salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti”, come ci ha insegnato Martin Luther King.

Purtroppo però parlava di salvezza umana: non della salvezza del marketing.

So già che molti potranno essere in disaccordo, sostenendo baldi e fieri che il marketing migliore è quello memorabile, creativo, con idee bizzarre e astratte non da tutti.

Personalmente?

Riserverei questa descrizione all’arte.

C’è un grosso RISCHIO nell’affidare il successo della tua azienda al marketing creativo.

Hai presente le pubblicità “belle da osservare” e le frasi banali che, per essere giustificate come idee geniali, vanno pronunciate con voce artificiosamente profonda e lenta?

Dai, quelle fatte dagli stessi creativi che quando vengono ingaggiati dalle Big CompanIES sfornano perle epiche di spot pubblicitari che lasciano con la mandibola sotto l’alluce.

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Owww… è così memorabile e mitica!

Si vedono dovunque…

Le usano tutti

Ed ecco che la creatività viene presa come “esempio corretto di un marketing che funziona”.

Riprendendo il discorso iniziale, diciamo che la creatività sta al marketing come il “chilo di macine” sta a un fisico da spiaggia.

Ma andiamo con ordine.

La pubblicità creativa NON è la soluzione a tutti i mali: ecco perché

Premessa importante.

Puntare il dito “contro” gli spot creativi delle mega-companies che vanno in TV è la via più breve per attirare commenti o pensieri tipo: «Scusa, te saresti? Quanto vale la tua opinione rispetto a ciò che fanno Coca-Cola, Nike, Toyota, ecc…?».

Da un certo punto di vista hanno anche ragione, per carità. A me non interessa salire sul pulpito e lanciare prediche.

Era per dire una cosa precisa…

Voglio solo mostrarti i meccanismi neuropsicologici che spingono le masse a copiare altri e prendere decisioni quantomeno “avventate”.

In altre parole, mi piace pensare che i lettori di questo articolo ci penseranno 10 volte prima di dar fuoco ai loro soldi.

Ciò detto, ripeschiamo uno spot creativo di circa 10 anni fa.

Un uomo (con nessun tipo di educazione psicologica genitoriale) si avvicina al figlio e gli dice:

«Devo confessarti una cosa, non sono tuo padre… sono tua madre!», e SFFFFRAAAN! Si sbottona la camicia rivelando le fattezze di una donna.

Il figlio, giustamente scioccato, risponde: «Devo confessarti una cosa, non sono tuo figlio…

sono una marionetta IA IA OH!»

Poi nulla, con due confessioni così il cielo si spacca e casca una balena dal cielo.

Domanda a bruciapelo: ti ricordi cosa vendevano il genitore 1-2 e Mario Netta?

Probabilmente no.

Eppure questo è il tipo di creatività che viene presa spesso a modello da parte di piccole, medie e grandi aziende… nonostante non aiuti nemmeno a rendere memorabile ciò che vende (che sarebbe il minimo, visto che è roba che costa e la spammano su canali televisivi “like there’s no tomorrow”).

Ti dirò di più: non mi stupirei se qualcuno pensasse “Eh, vedi che però sei lì dopo anni che ne parli ancora!!!“… certo. Ne parlo ancora. Però che la pubblicità era della Virgorsol non te lo ricordavi, vero?

Eh… infatti non era della Vigorsol, geniaccio che non sei altro. Era della Vivident Blast – e sì, lo sono dovuto andare a cercare.

Arrivati a questo punto vediamo perché, nonostante questo stile di pubblicità sia sconsigliabile, migliaia di aziende prendono erroneamente spunto da questa “creatività” per costruire il loro marketing (e annacquare la propria comunicazione).

7 motivi neuropsicologici per cui le aziende copiano il marketing creativo delle big company (e perché non dovrebbero farlo)

Quando osserviamo le pubblicità in TV può succedere di non guardarle con dovuta oggettività critica – proprio perché sono in televisione – finendo per dare un giudizio “biassato”.

Va da sé che per capire cosa significa “biassato” sia necessario sapere cosa sono i bias.

Un bias è un “pregiudizio” che il nostro cervello sviluppa in modo automatico in riferimento ad una certa situazione. Un errore cognitivo che ci porta a conclusioni rapide e automatiche, ma errate rispetto alla realtà.

Immagina di dover attraversare un parco e, per fare prima, invece di camminare tutto intorno seguendo la strada, decidi istintivamente di tagliare in diagonale.

Solo che grazie a quest’idea inciampi e cadi in una buca.

Quella buca è la conclusione sbagliata a cui la tua scorciatoia (il bias) ti ha fatto arrivare.

Qui sotto chiamerò in causa quei bias responsabili di valutazioni falsate che spingono milioni di aziende a copiare tali “opere” e investire qualsivoglia cifra per farsi pubblicità…

… capendo solo quando è troppo tardi che l’investimento ha dato gli stessi frutti che ha raccolto Pinocchio dopo aver sotterrato le sue monete d’oro (per inciso: gliele hanno rubate).

1) BIAS DI AUTORITÀ: “Otto dentisti su dieci raccomandano di usarlo”

Il bias di autorità (authority bias) è il pregiudizio cognitivo che ci porta a credere e a fidarci maggiormente dell’opinione di una figura che riteniamo un’autorità.

L’esempio che viene fatto più spesso è quello del medico: quando ti rivolgi a un medico perché stai male, di base segui le prescrizioni senza mettere in discussione il suo parere.

La connessione è che il medico ha anni di studio ed esperienza alle spalle e quindi, nella nostra mente, è l’autorità indiscussa sulla salute.

Ti ricorda qualcosa?

Le big company hanno enormi fatturati e grande esperienza e quindi, nella mente di molti imprenditori, rappresentano una sorta di “autorità” del marketing.

Il punto è che anche un medico può sbagliare.

Errore umano, insufficiente conoscenza, decisione influenzata da convinzioni personali, imprecisione nelle informazioni scientifiche a disposizione ecc… tutti questi fattori potrebbero portarlo a prescrivere un rimedio “poco efficace”, per esempio.

Allo stesso modo, le big companies sono grandi ma non infallibili.

Basta ricordare il putiferio che successe con lo spot delle patatine Amica Chips: quella che sembrava solo una battutaccia, messa in bocca a Rocco Siffredi, ha portato a multe e censura.

Questo concetto purtroppo sfugge agli occhi di tanti imprenditori… e la colpa ricade su un secondo bias…

2) BIAS DI CONFERMA: vedi che avevo ragione?

Il bias di conferma (confirmation bias) ti porta a selezionare le informazioni dando più peso a quelle che confermano le tue convinzioni o ipotesi – tendendo al contempo a ignorare o sminuire quelle che ti contraddicono.

Se ho deciso di andare in vacanza in Australia, dirò a tutti che è un posto pieno di spiagge meravigliose, panorami incontaminati e natura selvaggia. Quando mi diranno che ci sono ragni grossi come Fiat 500, risponderò che basta fare attenzione.

Se invece non ci voglio andare, quei ragni grossi come Fiat 500 diventeranno dei camion, e le spiagge qualcosa di irrilevante – perché se ti pinzano prima di goderti il mare, addio vacanze.

Il bias di conferma agisce allo stesso modo quando osserviamo le mirabolanti azioni delle big company: vederle su ogni canale TV esistente, nella nostra testa rafforza l’idea che “stanno facendo bene”.

È il motivo per cui se ricordo benissimo la pubblicità dello scoiattolo che scoreggia o dell’uomo che confessa di essere marionetta, sono convinto che facendo una pubblicità nonsense sarò anche io ricordato per i secoli a venire – che poi, ripeto, viene ricordato lo spot e non il brand del prodotto o servizio.

Come se non bastasse, il nostro cervello non seleziona le informazioni solo in base alle preferenze, ma anche in base ad altri parametri.

Ed ecco che zitto zitto cacchio cacchio, il terzo bias agisce indisturbato per fuorviare i meno attenti…

3) BIAS DI DISPONIBILITÀ: se il ricordo è vivido, ha più peso sulla bilancia

Se guardi la tv e vedi gente che ha vinto al SuperEnalotto, oltre a un sonoro “Eh ma che culo!”, immediatamente nella tua testa sembra più possibile vincere.

Il fatto che tu abbia una possibilità su 623 milioni non ti passa nemmeno per la testa.

Perché?

Perché il tuo cervello si concentra sulle immagini più recenti e d’impatto che ricorda, ignorando tutto il resto del quadro.

Questo è il cosiddetto bias di disponibilità (availability bias).

Allo stesso modo, se ho visto tutti i film dello Squalo, ogni volta che vado al mare penso sia molto probabile che uno di loro mi mastichi e mi sputi – anche se la probabilità di morire in bocca a uno squalo è la stessa di essere colpiti da un asteroide.

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Nota: considerando la causa di morte in testa alla classifica,
specifico che la statistica è del 10 luglio 2019.

Lo stesso meccanismo ci fa ricordare gli spot più “brillanti” e recenti delle big company… mentre ci dimentichiamo tutto ciò che l’azienda ha fatto fino a quel momento e i reali motivi per cui è diventata ciò che vediamo oggi.

Così come le informazioni vengono selezionate perché più recenti, altre volte vengono selezionate perché sembrano più “belle”, da cui…

4) EFFETTO ALONE: “Bello e bravo”

Mai visto un film di 007? Che dire: James Bond è sicuramente l’eroe.

Ammazza gente a grappoli. Fa scoppiare palazzi. Non è proprio un uomo sensibile…  però dai, è bello e ha charme da vendere. È palese che sia il buono. Se fosse stato cattivo sarebbe stato guercio, zoppo, panzone o con le mani di ferro…

Questo è ciò che i tecnici chiamano effetto alone (halo effect). La percezione di un tratto è influenzata dalla percezione di uno o più altri tratti dell’individuo o dell’oggetto; se uno è “bello”, è più probabile nella nostra testa che non sia un criminale.

Allo stesso modo, se una big company fattura un visibilio, tutto ciò che fa è sicuramente cosa buona e giusta destinata a generare altro successo

In molti casi anche le analisi di mercato sono contaminate dall’effetto alone – con sorprese orribili quando l’errore viene a galla.

Basta guardare cosa successe ad Atari: un tempo leader assoluto del mercato dei videogiochi. Si erano talmente montati la testa, da autoconvincersi che tutto ciò che facevano fosse destinato al successo.

Un raro caso di “halo effect autoindotto”.

Per un tragico errore di valutazione, fabbricarono più videogame di quante console esistessero all’epoca, pensando che avrebbero venduto ancora più console.

Avete mai sentito nominare Atari, negli ultimi vent’anni?

No?

Appunto.

Settecentomila cartucce finite in discarica.

Può sembrare che una campagna marketing “creativa” porti l’azienda a sfondare, quando invece in molti casi vale esattamente il contrario: è l’agenzia pubblicitaria che fa lo spot del momento ha successo grazie alla fama già conclamata della Big Company per cui crea la pubblicità.

In pratica l’agenzia pubblicitaria si fa pagare dalla big company per farsi pubblicità.

Mi rendo conto che sia facile evitare il più grande pregiudizio: la big company per definizione è BIG, e quindi qualsiasi cosa faccia (inclusa la pubblicità creativa senza senso) è oggetto di dibattito su quanto sia straordinaria.

Oltretutto, prendere una strada già battuta da loro ci scarica dai rischi… o forse no?

5) ZERO-RISK BIAS: fidati che se copiamo loro non sbagliamo

«Non prendo mai l’aereo, così non rischio di precipitare. Meglio andare a piedi.»

Nessuno ama correre dei rischi. Se possiamo scegliere tra un piccolo rischio, o nessun rischio, scegliamo quasi sempre di non affidarci alla sorte.

Anche davanti a un rischio piccolissimo che potrebbe portarci a un maggiore guadagno… il nostro cervello ci spinge a non rischiare comunque.

Chi osserva l’operato pubblicitario delle big company si attacca a ciò che hanno già fatto perchè nella sua testa “ha funzionato”. Non corre così il rischio di progettare qualcosa di nuovo. Anche se magari funzionerebbe meglio.

Come spiegato dal dottor Gerd Gigerenzer, direttore del Center for Adaptive Behavior and Cognition (ABC) e dell’Harding Center for Risk Literacy, questo bias ci porta a negare qualsiasi elemento di rischio anche in situazioni non davvero prive di rischi.

In questo modo, il cervello si convince di vivere una scelta del tutto certa e sicura.

Nel lungo periodo, ahimé, dovrà fare i conti con le conseguenze.

Di fronte alle “trovate geniali” delle big company, molti pensano: “Dato che loro fanno così, se li copio non avrò problemi e raggiungerò i loro stessi risultati, senza alcun rischio.

Facile come mangiare un chilo di macine a colazione per prepararsi alla prova bikini.

Oltretutto, in caso di risultati disastrosi, poter scaricare la responsabilità della scelta sugli altri ci fa sentire meno “in colpa” per l’eventuale errore…

… ma non apriamo altri capitoli di psicologia, sennò finiamo a Covid estirpato, e proseguiamo con un altro bias che devasta un sacco di scelte di marketing.

6) CONFUNDING BIAS: se mangi il gelato anneghi

Questo è il bias della “variabile confondente”.

Immaginiamo che una statistica affermi che “quando si vendono tanti gelati, aumentano le morti per annegamento“.

Siccome è improbabile che la gente si affoghi mangiando il gelato, deve esserci qualcos’altro sotto.

Quella variabile che non vediamo, è chiamata confondente.

Magari se si vendono più gelati vuol dire che fa più caldo, e di conseguenza più persone andranno a farsi una nuotata con più frequenza.

Per una legge statistica, a parità di tasso di annegamento, più gente nuota e più aumenta il numero di annegati. Bruttissimo, ma tant’è.

Se però smettiamo di vendere il gelato per salvare qualche vita (anziché organizzare corsi di nuoto per esempio), non solo la gente continuerà ad annegare in acqua… ma il cervello di molti “anngherà” in questo bias.

Allo stesso modo, vedendo una Big company con un grande fatturato che fa uso spropositato della creatività per il suo marketing, possiamo pensare che le due cose siano correlate.

Tuttavia ci sono molte variabili che non teniamo in considerazione.

Tipo?

Le big company, per dirne una, sfruttano TUTTI i canali di distribuzione del marketing esistenti in maniera pesante con budget inimmaginabili (TV, cartelloni formato palazzo, testate giornalistiche…).

Se Yamamay appende un Ronaldo in mutande di venti metri a piazza Duomo e un sacco di persone vanno a comprarsi le mutande firmate CR7, molti potrebbero pensare che per vendere qualcosa basta metterlo sul pacco di un calciatore.

Magari in parte aiuta, ma la scelta del testimonial e il canale pubblicitario rimangono solo due delle variabili che determinano il buon esito di una campagna.

Ce ne sono decine di altre, implicite o esplicite, che per colpa di questo bias non saltano subito all’occhio.

Il fatto è che noi vediamo tante aziende di successo elargire questi spot da film e pensiamo che “anche noi vogliamo essere creativi e fighi come loro”.

Ma è solo un altro bias.

7) EFFETTO BANDWAGON: Brigitte Bardò, Bardò…

Il termine “bandwagon” in inglese è il carro tipo quelli di carnevale, che trasporta la banda durante una parata.

A tutti alletta l’idea di salirci sopra, perché senti la musica seduto insieme ai “VIPs” della sfilata senza dover correre appresso al carro.

Molti lo chiamano il carro dei vincitori, perché è il bias che ti porta a votare il candidato in testa ai sondaggi, così sarai dalla parte giusta quando vince.

Ed ecco la magagna: Se tutti i Big usano il marketing creativo, non voglio essere l’unico sfigato che segue un criterio diverso, che magari non funziona.

Te lo ricordi lo spot “Antooooo, fa caldo”?

Serrande abbassate, afa opprimente. Un uomo prova ad accostarsi alla prorompente compagna, ma lei non vuole saperne del suo tocco appiccicoso e sudato.

Divertente, per carità.

Ma il marketing non nasce col mero scopo di far fare due risate al tuo pubblico…

A proposito, te lo ricordi che prodotto era?

Te lo dico io: Nestea alla menta (che peraltro non è più neanche in produzione).

Se sei arrivato fin qui, sei rimasto un po’ scettico e le tue convinzioni riguardo la creatività nel marketing sono ancora “flessibili come un manico di scopa”…

è colpa di altri due Bias.

Già, questi biastardi sono come i velociraptor:

si muovono in branco.

Finora abbiamo preso in considerazione 7 diversi bias, che spingono sempre più direttori marketing o agenzie pubblicitarie a copiare le strategie pubblicitarie delle grandi aziende.

Ma essere consapevoli dell’esistenza di questi meccanismi, ahinoi, non sempre è sufficiente per comportarsi diversamente.

In un mondo ideale, davanti a prove valide che mettono in discussione le nostre convinzioni, dovremmo essere quantomeno disposti a ritrattare.

Ma il nostro non è il mondo “ideale”.

Nel mondo reale, quando ci sventolano in faccia le prove che ci stiamo sbagliando, le persone hanno la tendenza a rifiutare il proprio errore.

Anche questo è un bias.

BACKFIRE EFFECT: a lavare la testa all’asino…

Quello che in italiano chiamiamo l’effetto rinculo (backfire effect) fa si che le persone, quando scoprono prove o dimostrazioni che vanno contro le loro convinzioni, le rifiutino rafforzando la loro idea originale.

Il backfire effect può essere definito come “l’altra faccia della medaglia” del bias di conferma.

Volenti o nolenti, abbiamo avuto tutti a che fare con questo bias, nella vita quotidiana.

Tutti quanti abbiamo un amico o un’amica, che ci ha chiamato a orari improbabili per chiederci cosa ne pensiamo dell’ennesima relazione acrobatica.

Per un periodo sono stato il confidente di una “maestra” nell’arte delle relazioni tossiche.

Lei, insicura a livelli cosmici, anche solo dopo un’attesa di 3 secondi alla risposta di un messaggio del tipo di turno mi chiamava disperata e mi chiedeva: «Secondo te ha un’altra?».

Solo col tempo ho capito che ogni tipo di risposta “intelligente” sarebbe stata inutile; qualsiasi cosa le dicessi, infatti, restava ferma nelle sue convinzioni.

Alla fine lui la piantò.

Perché aveva un’altra? Nah. Semplicemente non ne poteva più dei messaggi opprimenti delle tre del mattino, di quelli tipo “tu festeggi e io qui soffro a casa”!

In sostanza, se mostri a qualcuno che ha torto, non solo può essere inutile, ma può anche ritorcersi contro di te, inducendo la persona a sostenere la sua posizione originale con più convinzione di prima.

Come dicono a Napoli: “A lavare la testa all’asino, si sprecano tempo e sapone”.

(da un certo punto di vista, questo articolo sarà utile solo a coloro che riusciranno ad avere un livello di pensiero critico superiore alla norma. Mi sta bene.)

Si spazia da casi leggeri a situazioni estremamente delicate… non importa il contesto: tutte hanno in comune gli stessi profondi meccanismi che ci portano a ignorare elementi che sono evidenti per alcuni e invisibili per altri.

BLIND SPOT: mi stai dicendo che ho un “punto cieco”? Sarà… io non lo vedo!

Hai presente quando all’inizio dell’articolo ti ho dato le probabilità che abbiamo di morire per “bocca” di uno squalo?

Avevo preso una statistica qualunque, ma ce ne sono una marea. E tutte dicono la stessa cosa.

Per esempio, è più facile morire di infarto, al volante o nello spazio, piuttosto che masticato da uno squalo in mare.

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Nonostante tutti questi dati, ci sono persone che non ne vogliono sapere di fare un tuffo nell’oceano perché rimangono comunque terrorizzate (e sono le stesse che magari non hanno paura di un panino al colesterolo o di passare all’arancione).

È il Blind Spot Effect all’opera.

È il bias che ci permette di riconoscere l’impatto dei bias sulle scelte degli altri, ma ci rende ciechi di fronte all’impatto che ha sulle nostre decisioni.

È il motivo per cui nonostante tutto quello che ho detto finora, chi pensa che il marketing creativo sia la via continuerà a pensarlo commettendo errori dal costo inestimabile.

È il motivo per cui i neofiti che vorranno diventare grossi e chiederanno consiglio a un doped “stupido”, continueranno a mangiare chili di macine a colazione.

Ed è lo stesso motivo per cui io, caro amico mio, preferirò sempre fare il bagno in piscina che in mare aperto.

Siamo tutti in balìa di questa lista di errori cognitivi… e anche di più!

Lo so, può sembrare assurdo da credere.

Ci sono un’infinità di bias e, a livello instintivo, è letteralmente impossibile sfuggirgli. Sono errori propri dell’essere umano che agiscono dietro le quinte.

Non esistono persone “immuni” ai bias.

Per quanto possa sembrare una brutta notizia per l’umanità…

… questa è una MERAVIGLIOSA notizia per chi ha un’azienda e deve spingere le persone ad acquistare il proprio prodotto o servizio!

In qualità di imprenditore, l’obiettivo del tuo marketing non è quello di “sfuggire ai bias”.

L’obiettivo del tuo marketing rimane sempre e solo uno:

saper comunicare al meglio perché i tuoi clienti target dovrebbero scegliere il tuo prodotto o servizio anziché quello dei tuoi concorrenti (o anziché decidere di non acquistare per niente).

Conoscere i bias, riconoscerli e sfruttarli in questa comunicazione può darti uno straordinario supporto nel far AGIRE le persone ad acquistare il tuo prodotto o servizio – una volta mostrato “perché dovrebbero”.

Se stimolati in modo corretto, i bias sono uno strumento efficace per entrare nella mente dei tuoi lettori e fargli scegliere te e il tuo prodotto invece che quello dei tuoi competitor (qui trovi ulteriori approfondimenti).

Il neurocopywriting che usiamo in Propagando ti consente di avere contenuti in linea con il tuo posizionamento, rafforzando il “perché dovrebbero sceglierti” e spingendo al contempo i potenziali clienti all’azione il prima possibile grazie allo sfruttamento dei bias.

È il modo più rapido ed efficace per aiutare il tuo cliente a capire perché gli sei utile e perché affidarsi a te è la scelta migliore per lui – soprattutto in un mondo come quello odierno, in cui l’attenzione delle persone diventa merce rara.

Per sfruttare la neuropsicologia e creare la comunicazione ideale per la tua azienda, lascia i tuoi dati nel box contatti che trovi cliccando qui: saremo felici di aiutarti a trasformare i bias da “punto di debolezza umano” a punto di indiscutibile forza del tuo marketing.

A presto!

Cheg