La maledizione della conoscenza: saperne tanto ti fa perdere clienti?

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Si dice “la conoscenza è potere”. Ma cosa succede quando ognuno ha livelli di conoscenza diversa?

Ragioniamoci.

Hai presente i giochi in cui qualcuno mima le scene di un film e gli altri devono indovinare il titolo?

O Pictionary, in cui con dei disegni in stile rebus devi far indovinare una parola specifica al tuo compagno di squadra?

Nel 1990 una variante di questi giochi diventava oggetto di un dottorato in psicologia a Stanford.

Elizabeth Newton propone un semplice gioco in cui assegna ai partecipanti il ruolo di “tamburellatore” o di “ascoltatore”. 

I tamburellatori ricevono un elenco di venticinque canzoni semplici e famose del calibro di “Tanti auguri a te” e hanno il compito di dare il ritmo a uno degli ascoltatori bussando su un tavolo. 

La missione dell’ascoltatore è indovinare la canzone basandosi esclusivamente sul suono picchiettato. 

Ora, se hai voglia di provare, puoi sempre interrompere la lettura, accalappiare la prima persona che ti passa affianco, tamburellare una canzone famosa che ti viene in mente e vedere se il malcapitato la indovina! 

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Per quanto riguarda la ricerca della Newton, ecco com’è andata.

Su 120 canzoni, gli ascoltatori ne hanno indovinate solo 3.

Il 2,5%.

La disfatta non è stata neanche la grande sorpresa: a rendere questo giochetto degno di una tesi di dottorato di Stanford sono le dichiarazioni che precedono “l’esibizione musicale”.

La dott.ssa Newton aveva chiesto ai tamburellatori di condividere le probabilità che gli ascoltatori azzeccassero la canzone. 

Risposta: 50%.

La realtà ha però schiaffato un misero 1 su 40 a fronte di quell’ottimistico 1 su 2. 

Se provi ora stesso a picchiettare “Ci son due coccodrilli e un orangotango” è inevitabile che tu abbia la melodia in testa. 

Chi ti ascolta invece sente dei picchiettii scollegati tipo codice morse, tutt’al più accompagnati dall’ondeggiare del tuo collo che si muove al ritmo di un vero batterista.

Basta pensare a quante volte nei giochi in cui tocca indovinare qualcosa, volano frasi come:

“Ma dai! Non è ovvio?”

“Come hai fatto a non arrivarci?”

“Oh ma meglio di così, come potevo fartelo capire?”

Sheldon Docet

Non è una questione di stupidità o cultura (non sempre, perlomeno).

A una parte dei giocatori manca un pezzo. E chi quel pezzo ce l’ha fa davvero fatica a ragionare come se non lo avesse.

Non puoi avere la percezione del vuoto di informazione, se quell’informazione ce l’hai.

È esattamente quello che succede quando, da imprenditore o libero professionista che ama e conosce il proprio prodotto o servizio, ti stupisci se un potenziale cliente non arriva, non ti sceglie… o se consacra la sua fedeltà a un concorrente da te ritenuto meno valido.

Proprio come per i giochi di società di cui parlavo, non è questione di stupidità o cultura.

L’imprenditore sa cose sui suoi prodotti e servizi – e sul perché usarli – che il cliente non conosce ancora.

Riuscire a immedesimarsi davvero in qualcuno che non è già un fiero portastendardo della tua azienda, richiede uno sforzo immenso e senza garanzie di successo.

Il meccanismo appena descritto si chiama “maledizione della conoscenza” o ” maledizione dell’esperienza” (curse of knowledge bias), perfettamente descritto da Chip e Dan Heath in Made to Stick: perché alcune idee sopravvivono e altre muoiono:

Molti di noi hanno competenze in aree particolari. Diventare esperti in qualcosa significa diventare sempre più affascinati dalle sfumature e dalla complessità. È allora che entra in gioco la maledizione della conoscenza e iniziamo a dimenticare com’è non sapere ciò che sappiamo”.

La maledizione della conoscenza è un pregiudizio cognitivo che ci porta a presumere erroneamente che tutti sappiano quanto noi su un determinato argomento. 

Questo ci rende difficile condividere le nostre conoscenze, perché facciamo fatica a comprendere sia il background e il livello di familiarità con l’argomento della persona con cui parliamo, sia il suo stato emotivo.

Tra le varie sfide di un copy non c’è mica scrivere in italiano leggibile (quella è la base come per un medico lo è la laurea in medicina).

A rendere questa professione più complessa di quel che sembra – e più difficile da improvvisare – c’è il lungo e profondo lavoro di comprensione della psicologia del pubblico target, il rendere le informazioni più digeribili possibile, l’evitare di dare informazioni e ragionamenti per scontato o interpretare male i bisogni, le paure, i desideri del tuo cliente.

Oltre all’esempio musicale che abbiamo visto prima, a indagare questo bias in azione in un contesto aziendale ci hanno pensato gli economisti Colin Camerer, George Loewenstein e Martin Weber, che hanno esplorato gli effetti di questo pregiudizio cognitivo nel contesto delle transazioni economiche.

Il loro studio del 1989 “La maledizione della conoscenza in contesti economici: un’analisi sperimentale”  ha osservato che diversi venditori hanno livelli di conoscenza diversi.

I venditori tendono a saperne di più sul valore dei loro prodotti rispetto ai potenziali acquirenti.

I lavoratori tendono a saperne di più sulle proprie competenze rispetto ai potenziali datori di lavoro. 

Fondamentalmente, Camerer, Loewenstein e Weber sostengono che la maledizione della conoscenza perpetua questo squilibrio informativo che spesso va a discapito di chi “ne sa di più”, come quando un venditore vuole trasmettere ciò che sa per convincere il potenziale cliente, ma dà molti passaggi per scontato e finisce per non essere chiaro ed efficace.

Lo stesso vale per l’imprenditore convinto che una grafica accattivante o un video professionale o uno slogan ricercato siano sufficienti per attirare clienti, e bypassa la creazione di materiali di marketing che:

  • accompagnino il suo pubblico a conoscere il suo problema e le possibili soluzioni (inclusa la sua);
  • diano motivi validi e chiari per essere scelto.

Il bias della maledizione della conoscenza è solo uno dei tanti motivi per cui per comunicare con il tuo pubblico devi riuscire a capire come pensa, come ragiona, come sceglie.

Ti serve conoscere i meccanismi psicologici che regolano il suo sistema decisionale in modo da fargli capire il tuo punto di vista, guidarlo a vedere ciò che vedi e sapere ciò che sai (… e che sia utile a lui)!

È su questo che devi basare i tuoi testi, non sulla ricerca della visibilità, delle frasi d’effetto, di concetti complessi o descrizioni prodotto o schede tecniche.

È anche per questo che è fondamentale contare su un copywriter che non si limiti a dirti quanto sei bello e bravo (“tanto è pagato per scrivere quello che dici tu”), ma che nel progettare i tuoi pezzi faccia anche l’avvocato del diavolo per valutare insieme a te cosa potrebbe capire o non capire chi legge e cosa davvero serve comunicare al tuo potenziale cliente.

Un copywriter non ti serve a mettere in bella scrittura il tuo copione, ma a ragionare insieme a te su che percorso creare nella mente del tuo lettore in modo che, pezzo per pezzo, riesca a condividere la tua stessa percezione sul servizio che offri e sulla sua unicità.

Ed è attorno a quella unicità che deve girare attorno il tuo materiale di marketing.

A ogni piccola o media impresa serve avere la certezza che ogni centesimo investito in pubblicità torni moltiplicato, e non puoi essere certo che sia così se non hai un modo per misurare l’effettivo ritorno.

Per questo ti serve un neurocopy, che usi un approccio basato sulla psicologia e sui bias e non uno scrittore dallo stile creativo, artistico, poetico, filosofico, astratto e fantaghiricorico. 

Se il tuo marketing non è a risposta diretta e non puoi monitorare cosa torna nelle tue casse, non puoi sapere se stai facendo un investimento… o un versamento di beneficenza all’agenzia di turno. 

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I tuoi testi devono essere scritti con l’obiettivo di:

  • rendere chiaro in cosa sarai utile al tuo cliente e perché sei la soluzione migliore;
  • abbassare i filtri antispam che tutti abbiamo per anestetizzarci dal bombardamento pubblicitario e proteggerci dalle fregature;
  • accompagnare il tuo cliente nel suo percorso decisionale, che si conclude con la scelta di comprare da te.

Ed è esattamente il modo in cui lavoriamo in Propagando.

Creiamo materiali di marketing scritti sulla base di analisi scientifiche che riguardano il sistema decisionale del cervello umano e lo studio approfondito del mercato in cui opera la tua attività.

Le parole che usi per comunicare con il tuo pubblico vanno inserite solo in seguito a lunghe e minuziose ricerche.

Questa parte, va fatta PRIMA di iniziare a caso qualunque attività di marketing.

Certo, c’è qualcuno che si avventura a occuparsene in prima persona. Ma se improvvisare non può essere un’opzione per i motivi visti finora, questa alternativa presuppone il dover imparare un nuovo mestiere da zero da svolgere in accompagnamento al tuo (o farlo imparare a qualcuno che già lavora con te).

L’altra strada è delegare il compito a chi si dedica con successo a diventare ogni giorno più esperto in questo campo.

Se la tua scelta dovesse ricadere su questa opzione, sei nel posto giusto!

In Propagando creiamo esclusivamente materiali di marketing basati sui principi delle scienze comportamentali e sui meccanismi che portano un cliente a decidere di comprare.

Lo facciamo da anni raccogliendo storie di successo, una dietro l’altra.

Se vuoi essere anche tu fra queste, QUI trovi le informazioni per iniziare a lavorare insieme.