Qualche giorno fa stavo riordinando l’ufficio. Come tutti i lavoratori della creatività, tendo a sottovalutare l’entropia delle scrivanie. Fin quando il disordine si tramuta in casino elevato a casino.
A quel punto, come Aguirre il furore di Dio, inizia il repulisti. Tutto ciò che non serve, viene defenestrato.
Mentre mi liberavo di brochure, volantini, scatoloni e simili, mi è capitata in mano una scatola.
Una scatola di biscotti, di latta. Di quelle che a casa delle nonne si trasformano in un simpatico indovinello quantistico. Quelle che, finchè non le apri, potrebbero contenere biscotti o kit da cucito.
Beh, questa non sono riuscito a buttarla.
Rettifico, non ci ho neanche lontanamente pensato a buttarla.
E’ una bella scatola. Solida, consistente, piacevole da toccare. Non sembra un prodotto da discount della promozione. Abbiamo un cliente che le usa, quindi so perfettamente quanto siano fastidiose e costose da far realizzare.
Poi è carina. Molto carina. L’idea di farla sembrare un Oreo gigante è la ciliegina sulla torta.
E così, mentre la tenevo in mano, ho iniziato a riflettere su una questione. Un problema sottovalutato, nel mondo del marketing di oggi.
La qualità dei materiali di marketing ha ancora un peso?
Poco tempo fa, ho scritto una lunga disamina sulle differenze tra marketing cartaceo e digitale.
E ho anche scritto che le due cose devono viaggiare di pari passo, ma che il digitale è la via più agevole in una fase iniziale.
Quello che però non ho scritto è qualcosa a cui molti sedicenti esperti credono. Ovvero che, nell’epoca dello smartphone e del bit, la parte materiale, tangibile, concreta, tridimensionale del marketing sia qualcosa di accessorio.
Nella fattispecie, qualcosa che si può risolvere con poco investimento, perché l’importante non è la qualità del messaggio. Ma il messaggio stesso.
“Non conta l’aspetto esteriore, ma quello che c’è dentro”
La Disney ci ha fatto una serie di film di discreto successo, con questa storia. Ma questa filosofia ha iniziato ad essere seguita anche da parecchie aziende, in particolare da quelle che costruivano impianti stereo negli anni ’70.
C’erano un paio di grandissimi produttori inglesi, che consideravano l’estetica come qualcosa di assolutamente superfluo.
Costruivano amplificatori e giradischi di qualità eccellente, dal suono grandioso, ma brutti come una lettera di Equitalia.
Ora, l’audiofilia è un hobby in cui il fattore di accettazione della propria compagna è fondamentale. Immagina di entrare nel suo salone, ottimizzato in colori e dettagli come una brochure Pantone, portando sottobraccio questo arnese qui.
Solo l’idea di inserire questa specie di stufa nello scaffale di noce la farà quantomeno alterare. Se poi scopre che è costato due mesi di stipendio, ti aspettano due mesi di notti sul divano.
L’idea che “è solo il suono che conta” è stata dimenticata molto in fretta, quando altre aziende hanno iniziato a utilizzare materiali e finiture di classe. E si sono prese il mercato degli spocchiosi britannici.
Ritorniamo al tuo ingresso in salone. Stavolta sottobraccio hai questo.
La reazione sarà senza dubbio molto diversa. Pannello di vero legno. Comandi in ottone lucido. Un aspetto da oggetto di design. E soprattutto, questa differenza di aspetto incide pochissimo sul prezzo.
Come diceva Will Smith in Men in Black 2: “Tu guidi il vecchio rottame, io la nuova ficata.”
La verità, per quanto triste possa sembrare, è che il cliente ti giudica eccome. E siccome non ti conosce, ha un solo parametro a disposizione.
I materiali che adoperi
Se gli capita in mano qualcosa di brutto, trasandato o scadente, il cliente è perduto.
Magari puoi scrivere la sales letter più bella del mondo, ma se la stampi come un qualsiasi file Word su una normale carta da stampa, il tuo potenziale cliente potrebbe facilmente non arrivare mai a leggerla.
Qualche “esperto” di marketing a questo punto potrebbe tirare fuori la brand awareness. Se sei un marchio stranoto, la gente comunque verrà a comprare, a prescindere dalla qualità dei materiali.
Peccato non sia affatto così. E non lo sarà mai, a causa di un bias della mente umana.
Ho visto questo principio all’opera con i miei occhi. Ero all’outlet, a fare da chaffeur alla mia ragazza, per farmi perdonare non mi ricordo più che (presunto) torto e a fingere un enorme interessamento per la moda.
E mentre aspettavo con le buste in mano, vedo entrare nel negozio un compatto plotone familiare.
Padre, madre, figli e nonna.
Una formazione di questo tipo si crea in un solo caso: cerimonia imminente. Erano venuti a comprare abiti eleganti per tutti. Mentre i giovani si guardavano intorno, la nonna si avvicina alla rastrelliera delle camicie.
Ne tocca una. Guarda il suo discendente maschio e sibila:
“Cusa l’è ches chi?”
“E’ di Valentino, mamma.”
La nonna lo guarda come Cavallo Pazzo avrebbe guardato il generale Custer. Poi sibila.
“Valentino l’è un can.”
Non conoscendo il marchio, aveva valutato solo la qualità del materiale. Non lo aveva trovato di suo gradimento. Quindi, per lei Valentino era quello che fa roba scadente a prezzi enormi.
Questo bias, che noi conosciamo molto bene, si chiama effetto alone. Ne abbiamo parlato in passato, ma la sintesi essenziale è questa.
L’essere umano tende a costruire le proprie impressioni, su qualcosa che non conosce, basandosi sulla prima impressione emotiva che ne ricava.
In parole più semplici. Questa è una foto da un tribunale: chi dei presenti è l’imputato?
Ci sono ottime possibilità che indichi quello col taglio alla Beatles. O quello coi baffi e la cravatta scura.
Mentre quello in piedi ha tutta l’aria del grande avvocato. Ha un bel vestito, lineamenti raffinati, sembra padrone di ogni suo gesto.
Questa valutazione, fatta sulla base di pochi elementi estetici e dei pregiudizi innati che hai, è la dimostrazione che l’effetto alone esiste.
E che può creare danni considerevoli, visto che quello in piedi è uno dei più efferati serial killer della storia moderna, Ted Bundy.
Lasciando da parte gli assassini col vestito sartoriale, la morale è che presentarsi con materiali di alta qualità è fondamentale per ottenere una prima impressione forte ed efficace.
Se riesci a dare una prima impressione che conquisti il lato emotivo del cliente, avrai già fatto un buon pezzo di strada. Un materiale “di qualità” è il miglior punto di partenza.
Se noti ho scritto “di qualità” virgolettato.
Il motivo è semplice: dire di qualità non vuol dire un accidente.
È come dire “non fa schifo”. E grazie al ca…
Questa è una regola generale che chiunque deve tenere presente: scrivere “di qualità” in qualsiasi passaggio del tuo copy è un grosso errore. Stai usando una caratteristica che non definisce nulla e non aiuta il lettore a comprendere il vero perché del suo acquisto.
Ma, come diciamo sempre noi di Propagando, la componente emotiva è solo una delle due facce della medaglia.
Anni fa, a Roma, qualcuno tentò di stimolarla lasciando volantini sulle auto in sosta.
Volantini che, visti di sfuggita, avevano tutto l’aspetto di multe.
La reazione emotiva c’è stata, ma ovviamente non era quella che sperava di ottenere l’azienda
Premesso che, se trovo una cosa del genere sul parabrezza, vengo ad Ariccia solo per svitarti la testa, queste sono trovate che non hanno vera efficacia.
Per trasformare un semplice acquirente in un fedele cliente, è indispensabile catturare anche la sua parte razionale.
Un bel materiale è il punto di partenza. E per bello, intendo proprio BELLO.
Bello da guardare, piacevole da toccare, robusto… gli aggettivi si sprecano, ma penso che ci siamo capiti.
Un materiale con queste caratteristiche è in grado di conquistare il cliente in due ambiti.
In primis, crea l’impressione di avere a che fare con un’azienda di alto livello. Se può investire in un bel catalogo, pensa il tuo cervello rettile, non ha intenzione di chiudere domani mattina. E’ un imprenditore solido. Ha buon gusto.
Quindi, il suo prodotto sarà solido, elegante e resisterà nel tempo.
E fin qui ci arrivano anche quelli del classico, come avrebbe detto il grande Renato Caccioppoli, il matematico napoletano.
La vera chiave in realtà viene dai passaggi successivi.
Sul materiale è necessario scrivere un copy di qualità. Non le strombazzate da infoprodottari, non gli strilli “tutto a un euro, mezzo euro, zero euro!”
Un testo efficace, concepito con cura, ben costruito nella grafica e nello stile.
Così, ogni appunto che la parte razionale può andare a fare a quella emotiva viene allentato.
C’è un ulteriore vantaggio nell’adoperare materiali di qualità. Lo diceva anche Mary Poppins. Una cosa bella è una gioia sempiterna.
Un bel catalogo, un magalog di lusso o una box prestigiosa dentro cui è custodito il tuo copy sono materiali di cui il cliente non è disposto a liberarsi con facilità
Io non sono riuscito a liberarmi della scatola degli Oreo. Non voglio buttarla, perché mi piace.
E mi piace a prescindere da ciò che rappresenta, proprio in quanto oggetto di qualità. Ma allo stesso tempo, ogni volta che mi capita sotto gli occhi, penso che mi farebbe assai piacere mangiarmi uno o due Oreo.
Perché gli Oreo sono come le birre. Se ne consumano sempre due. Che poi siano due pezzi, due casse o due pallet è irrilevante.
Lo stesso deve valere per il tuo materiale promozionale. Se vuoi creare un catalogo, ad esempio, è fondamentale che il cliente non se ne sbarazzi alla prima occasione.
Soprattutto se vendi beni di lusso, o servizi di alto livello, non puoi proporli con volantini in cartaccia riciclata, stampati dal cuggino sotto casa e ficcati nelle cassette postali.
Questa, ad esempio, è la scatola di un paio di scarpe artigianali, da duemila euro.
L’artigiano in questione, che opera nell’area fiorentina, utilizza le scatole che adoperano le enoteche di lusso come confezione regalo. E già questo è un ottimo punto di partenza.
Poi, si arriva ai dettagli del copywriting.
Ebbene si.
Le due lettere sono le iniziali del cliente. In altre parole “questo prodotto è tutto fatto per te. Anche la sua confezione.”
Sul lato, sopra i dettagli tecnici, c’è un piccolo “modellino” della scarpa ordinata. E’ fatto con un ritaglio della stessa pelle e aiuta a riconoscerla rapidamente.
L’idea è già quella di farti pensare a quante ne comprerai, visto che avrai bisogno del riferimento visivo per sceglierle al volo.
E, come dicevo sopra, è una cassetta in legno da vini.
Se proprio non sono uno che tiene alle scatole, comunque non la butterò via. Rimarrà con me per anni, e ogni volta che la guarderò mi riporterà in mente il vecchio barbuto calzolaio fiorentino
Realizzare qualcosa di simile può aiutare la tua azienda a trasformare un acquirente occasionale in un cliente fidelizzato
Noi di Propagando conosciamo molto bene il valore che può avere la bellezza. Non ci limitiamo a offrire un copywriting privo di approssimazioni, ben lontano dallo stile “Renè Ferretti” dei sedicenti esperti.
Da sempre ci occupiamo anche di fornire ogni cosa in una veste grafica pulita, elegante e comprensibile. Ogni nostro materiale, dalle brochure ai libri, è curato anche nella scelta dei materiali.
Tutti quanti possono consegnare un volantino in carta semplice, e far la figura del pizzaiolo a domicilio. Ma non sono in molti a poter rilegare il proprio catalogo in carta “effetto pelle”.
Eh già.
Quello che sembra vitello martellato in realtà è carta. Ed è solo uno dei tanti materiali che possiamo sfruttare, per rendere i tuoi materiali impareggiabili.
“Se la soluzione non è bella, so per certo che è sbagliata.” diceva Buckminster Fuller.
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