Senso di colpa: come (non) usarlo per vendere di più

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Il senso di colpa viene definito dalla psicologia generale come un’emozione complessa poiché si sviluppa successivamente alle cosiddette emozioni primarie, come paura e rabbia, che sono presenti fin dalla nascita.

Tuttavia, pur non essendo presente fin dall’origine, l’esperienza della colpa è comune a ciascuno di noi.

Un’emozione che nasce dalla consapevolezza, a volte sbagliata, di aver commesso un errore e per questo aver provocato un danno a qualcuno… o anche a noi stessi.

Il senso di colpa è una sensazione nettamente peggiore della paura, della rabbia o della tristezza perché perdura nel tempo. 

Si riaccende continuamente ed è impossibile da mettere a tacere.

Siamo tutti nel mercato della soluzione a un qualche problema. Dal pizzaiolo al marketer, dal tabaccaio alla Ferrero, tutti in qualche modo aiutiamo i nostri clienti a risolvere un problema.

Se il tuo cliente ha un problema da risolvere, spesso potrebbe essere lui stesso la causa (o la concausa) del suo problema.

Potrebbe colpevolizzarsi a tal punto da non riuscire a reagire o essere addirittura cieco di fronte alla speranza di un futuro migliore.

Un disegno che vediamo tutti i giorni con gli imprenditori che ci contattano.

Persone capaci, spesso incredibilmente brillanti, che a volte si vergognano per aver perso soldi in investimenti in marketing… diciamo poco fruttuosi, giusto per non sparare sulla Croce Rossa.

La prima cosa da fare è fargli capire che non è colpa loro

Non è colpa tua se fino ad ora hai dato la tua fiducia a persone sbagliate che ti promettevano mari, monti e clienti.

Alleggerire il senso di colpa del tuo target è il primo passo per riuscire a portarlo dalla tua parte.

Storicamente, le persone si facevano attrarre e legare al cattolicesimo per via della promessa di redenzione. L’alleggerimento delle proprie colpe e il perdono.

Allo stesso modo, se con il tuo copy sarai in grado di permettere al tuo cliente di discolparsi dei suoi problemi, ti renderai molto più attraente ai suoi occhi.

Le persone bramano liberarsi dal peso delle proprie colpe. Dagli modo di farlo e li porterai a legarsi a te.

Ora, tanto per darti un esempio pratico, ti lascio leggere il testo di un annuncio che solletica il senso di colpa, ma non come abbiamo detto finora.

Certamente da uomo ho molta meno familiarità sulla reason why per cui comprare queste 3 mutande. Bellissime.

Mi affido quindi totalmente al copy dell’annuncio, proprio come farebbe anche una donna che non usa slip mestruali o che non usa quelli del brand in foto.

Posso supporre che la nobile intenzione del marketer fosse unire la presunta scarsità del black Friday (ben un intero mese di sconti pazzih) al rassicurare chi si insospettisce per un prezzo così “stracciato”.

Peccato che il tono del testo trasmette la frustrazione e la seccatura tipica di chi per l’ennesima volta deve spiegare qualcosa di ovvio a qualcuno che proprio non ci arriva. 

Il risultato finale è un messaggio privo di reali motivazioni per comprare da questa azienda, tutto sulla difensiva, che spinge a far credere che siano quasi una onlus disposta a non marginare, pur di rendere accessibile al pubblico qualcosa di valore.

E sono pure incazzati.

Chissà quante volte hanno dovuto dire che i loro slip non sono cari. 

Non ti azzardare mica a obiettare anche tu che se proprio vuoi spendere 50 euro per 3 mutande preferisci andare da Victoria’s Secret o Yamamay.

Che c’entra il senso di colpa?

Beh. 

Loro pagano a dovere i dipendenti, sono spinti dalla missione di rendere la gestione del ciclo mestruale accessibile, sono pronti persino a non guadagnare pur di darti 3 mutande a soli 50€.

Se dopo tutto questo non sei disposto ad aprire il portafogli, lasciatelo dire, sei proprio una me*da!

Sempre restando in tema “senso di colpa”, voglio darti un’altra prospettiva su come questo possa influire sulla tua comunicazione.

Quest’esempio è più un invito a non farti prendere la mano quando il bisogno di scusarti fa capolino tra le tue emozioni.

Senti il bisogno di decolpevolizzarti? Ecco come non farlo

A Piazzapulita, programma di informazione di La7, in una puntata andata in onda ad Aprile 2022, viene mostrato con dovizia di particolari un grafico di quella che sarebbe dovuta essere l’acciaieria Azovstal, quella della resistenza di Mariupol, quella in cui erano asserragliati civili e le ultime sacche di resistenza della città.

Un grafico che se uno guarda dice: “Vah, pare un videogioco”.

E infatti…

E infatti quella mostrata non è l’acciaieria Azovstal. 

È la grafica dell’ambientazione di un gioco in scatola messo su Kickstarter e mai prodotto. 

Letteralmente.

Detta in soldoni per chi come me è un po’ tardo: è come se avessero fatto vedere il tabellone di gioco del Monopoly dicendo: 

“Ecco qui potete vedere dall’alto il centro di Kiev. Come potete notare, gli ucraini tendono a colorare le vie con colori sgargianti. Strana la presenza di ben quattro stazioni segnalate con i punti cardinali ma tant’è… sarà un residuato del funzionalismo dell’ex URSS”.

Piazza Pulita non è l’unica a pubblicare l’immagine che, infatti, rimbalza su diverse fonti di informazione autorevoli, da giornali a tv. 

Tutti convinti. 

Tutti sicuri.

Tra i tanti difetti che ha la rete, un pregio va riconosciuto: le tavanate, quelle grosse, con internet hanno le gambe corte. 

E infatti Piazzapulita viene “tanata” nel giro di quattro minuti con coro polifonico di pernacchie a obice.

Ho inserito anche questo esempio per un motivo.

Il senso di colpa non è solo quello che può portare un cliente a comprare: è anche quello che potrebbe spingere te a dire e fare cavolate pur di vendere.

Le scuse del programma TV sono infatti queste che leggi sotto.

La trasmissione chiede scusa dicendo che sono caduti “anche loro nell’errore”. 

Ammettono che la grafica non rappresenta le acciaierie Azovstal.

Ringraziano per la segnalazione e ciaone, amici come prima.

Citando il compianto Scalfaro: “Io non ci sto. A questo gioco al massacro, io non ci sto“. 

Dove il massacro è quello dell’informazione italiana, della sua credibilità, della sua autorevolezza.

Il messaggio di scuse della trasmissione di La7 è tre volte grave.

Il primo motivo è che non spiega a cosa si riferisca la grafica che hanno mandato in onda (non è dell’acciaieria Azovstal e di cosa è? Lo vorreste dire?).

Il secondo è che queste scuse arrivano tramite internet e non tramite una smentita ufficiale là dove il danno è stato fatto: cioè in televisione.

Mi chiedo: quanti di quelli che hanno seguito quella puntata, avranno intercettato il tweet di scuse? Pochi.

E di tutti gli altri, che si fa? Li si lascia convinti che a Mariupol c’è una riproduzione gigantesca di un modellino di un gioco in scatola? 

Il terzo è quel “anche noi”. 

Quel “ANCHE NOI” che è altamente emblematico della tendenza a cercare sempre una giustificazione dei propri errori.

“È vero, abbiamo anche noi fatto un errore. Ma l’hanno fatto anche altri. Guardate anche loro”. 

È una colpa condivisa. Non siamo gli unici responsabili. Non è solo colpa nostra.

Non voglio stigmatizzare il caso con un troppo facile moralismo, ma analizzare la reazione della testata giornalistica dal punto di vista di un neurocopy.

L’istinto di sopravvivenza (sociale, in questo caso) ci porta a voler trovare un appiglio in qualche sorta di giustificazione che ci permetta di alleggerirci la coscienza.

È quella di cui ha bisogno il tuo cliente e di cui abbiamo parlato finora.

È per tutte queste ragioni che il copy dei tuoi materiali di marketing DEVE tener conto di questo bisogno di “auto-assoluzione” che i tuoi clienti hanno in relazione al problema che li vede coinvolti.

Se sei un nutrizionista, non puoi dire al tuo cliente “sei un un ciccione goloso”, facendolo sentire una mer*a, o si chiuderà a riccio verso qualsiasi altra cosa proverai a dirgli. 

Potresti invece fargli sapere che “non è colpa tua se l’istinto ti ha portato finora a sfogare lo stress sul cibo“. 

L’istinto è parte di noi, ma viene percepito come un elemento esterno al di fuori del nostro controllo. 

Nessuno si colpevolizza per il proprio istinto

Se sei un imprenditore non posso dirti “sei un pirlotto ad aver dato 2mila euro al mese al social media manager che ti cura la pagina instagram a suon di post con gattini e giochi di parole“, ma ti dovrò dire “non è colpa tua se sei caduto nelle promesse di agenzie che ti fanno credere che siccome i tuoi clienti stanno sui social, tanti like ai tuoi post si tradurranno in tanti clienti“.

Capito il meccanismo?

Devi SEMPRE trovare il modo per decolpevolizzare il lettore. 

Il senso di colpa genera rimorso e il rimorso genera frustrazione e inazione, mentre quello che vuoi è che il tuo target reagisca e agisca, acquistando la soluzione che intendi proporgli.

Ed è esattamente il risultato che ottengono i clienti di Propagando.

Se vuoi anche tu mettere subito mano su materiali di copy che assolvano i tuoi lettori da ogni peccato, QUI trovi il nostro confessionale!