Come far percepire un problema a chi il problema non ce l’ha (ancora)

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«Ogni volta che ricevi un “no” hai semplicemente pescato una pallina nera dal sacchetto. Puoi abbatterti oppure pensare che per ogni pallina nera che estrai, stai aumentando le possibilità di pescare una pallina bianca (il sì)».

Quando formi un venditore, soprattutto all’inizio, “NO” e porte in faccia possono essere un boccone duro da digerire per chi non è abituato a ricevere rifiutati o prende ognuno di quei “NO” sul personale.

Se da un punto di vista motivazionale può andar bene per interrompere il pianto singhiozzato causato da troppi schiaffi di fila, da un punto di vista logico è il caso di fare due chiacchiere di approfondimento.

La formazione vendita motivazionale, quella alla networker disperato stile Herbalife, prova a farti credere che per ogni NO che ricevi, stai aumentando le probabilità che arrivi un SÌ.

Bella stronzata.

Prendersi un “vaffanc***” da quello che speravi sarebbe diventato un tuo prossimo cliente, non ha niente a che vedere con tutti gli altri diciottordicimila rifiuti che prenderai dopo.

Ogni vendita è a sé.

Un modello matematico probabilistico stile palline bianche e nere è più inadatto di Zaza a tirar rigori se vuoi prevedere i risultati delle prossime trattative.

Quante palline bianche e nere ci sono in totale?

Come fai a saperlo?

Chi decide quante palline bianche ci sono?

E se sono tutte nere?

Ma soprattutto, la domanda più importate: 

«Cosa ti dà la certezza di poter prevedere il futuro in base agli eventi passati?»

Conoscere la risposta ti sarà molto utile, soprattutto se ti occupi di servizi legati a stime, previsioni e probabilità.

Premessa: come ho già ripetuto ventordici volte, in un modo o nell’altro, tutti noi che facciamo impresa e siamo portatori (più o meno) sani di partita IVA, facciamo tutti lo stesso lavoro.

Vendiamo soluzioni a problemi!

  • Io vendo soluzioni a imprenditori che hanno problemi nel trovare nuovi clienti e fidelizzare i vecchi.
  • Victoria’s Secret vende una soluzione alle donne che vogliono sentirsi più sexy per loro stesse o per i loro partner.
  • Riccardo del Borducan vende una soluzione a coppie che vogliono una location indimenticabile per una ricorrenza importante o per passare un weekend magico.
  • Il forno vicino a casa, che sta aperto fino alle 4, vende una soluzione per chi dopo aver fatto serata e con più alcol che sangue in corpo, cerca qualcosa di solido con cui riempire lo stomaco.

Diretti o indiretti che siano, siamo tutti nel mercato della risoluzione di problemi.

Ehi, tu! Hai un problema?

Vieni da me che ho la soluzione adatta a te!

Iperbanalizzando all’estremo, il marketing si riduce a questo.

Da qui, però, nasce un altro problema.

Come si vende qualcosa a chi questo problema non lo percepisce ancora?

Per esempio, il marketing in settori come assicurazioni, investimenti o antifurti può risultare molto difficile da gestire proprio per la discreta dose di imprevedibilità che l’evento preventivato si verifichi.

Non vendi un problema, vendi la probabilità che quel problema accada.

Il problema è che quasi nessuno è disposto a pagare per un problema che potrebbe succedere… ma anche no.

Soprattutto perché la nostra valutazione in questi casi si basa su errori di calcolo come il bias dello schema e quello di prossimità.

“Non dipendente si è infortunato sul lavoro in 20 anni, vuoi che succeda proprio ora?”

“Nessun ladro ha mai commesso furti in questa zona, non inizieranno mica proprio da casa mia…”

“Sono 3 anni che i Bitcoin salgono vertiginosamente, crolleranno mica proprio ora che ci investo tutto?”

Conoscere i meccanismi decisionali legati al calcolo delle probabilità ti sarà di grande aiuto sia per capire i tuoi clienti che per riuscire a comunicare in modo più efficace con loro. 

Bar-Hillel la storia delle palline l’ha presa proprio sul serio

La professoressa Maya Bar-Hillel, nel suo studio On the Subjective Probability of Compound Events, in merito alle probabilità di estrazione di palline di un dato colore dal sacchetto, ha chiesto a due gruppi di fare una scommessa sull’opzione più probabile.

Queste erano le alternative:

  1. estrarre una pallina rossa da un sacchetto con metà palline rosse e metà bianche;
  2. estrarre sette volte di fila una pallina rossa (rimettendola sempre dentro) da un sacchetto con un 90% di palline rosse;
  3. estrarre almeno una pallina rossa in sette tentativi consecutivi (rimettendo dentro la pallina già pescata) da un sacchetto con un 90% di palline bianche.

Tu su quale scommetteresti?

La maggioranza dei soggetti intervistati, dovendo scegliere tra l’opzione 1 e la 2 ha puntato sulla seconda: è più facile prendere una rossa di fila per sette volte se il sacco è quasi tutto pieno di palline rosse.

Mentre tra la coppia di eventi 1 e 3, quasi tutti hanno puntato sulla prima: è più facile che becchi la rossa se metà sono rosse, rispetto a beccarne una rossa su sette tentativi se il sacchetto è pieno di palline bianche.

Tralasciando il fattore fortuna delle scommesse, se riduciamo a freddi e asettici calcoli le effettive probabilità che un evento si verifichi, in entrambi i casi i soggetti hanno puntato sull’opzione con meno probabilità.

Nell’opzione 1, c’è un 50% di chance di azzeccare perché le palline sono metà e metà.

Nell’opzione 2 la probabilità è del 48% e nell’opzione 3 del 52% (percuentuali calcolate dagli scienziati dell’esperimento, non dal sottoscritto).

Da questa ricerca possiamo dedurre o che, tolti i casi facili (metà e metà), l’essere umano è un po’ ciofeca o pigro a calcolare percentuali al volo (potrebbe essere tranquillamente il mio caso)… 

…o che il tranello lo abbia giocato qualche bias.

Da fiero rappresentante della prima ipotesi, non posso certo scartarla a priori! Tuttavia, come abbiamo visto prima, anche i bias hanno eccome la loro bella fetta di responsabilità.

Quelli del sacchetto di palline, sono gli stessi meccanismi decisionali che entrano in gioco quando valutiamo se “rischiarcela” o meno, se contrattare un’assicurazione o no, se investire su un titolo affidandoci a una previsione sull’andamento dei mercati.

Il primo è…

Il bias di ancoraggio

Il bias di ancoraggio rappresenta la tendenza a fidarsi in modo eccessivo della prima informazione che ci viene offerta quando dobbiamo prendere una decisione.

Quella prima informazione disponibile fa da ancora: una volta fissata, è l’informazione che detta lo standard e influenza il giudizio delle informazioni successive.

Per esempio, se vuoi comprare casa, l’ancora è il prezzo iniziale che hai in mente (se ne hai uno) o quello che ti viene dato dal venditore. 

È un bias che avrai visto sicuramente sfruttato ogni volta che si vuole provare a vendere un abbonamento.

Quando metti a confronto il prezzo annuale con quello settimanale, ti senti un grande affarista nell’aver risparmiato così tanti soldi, comprando un servizio annuale da 7,99€ a settimana (che in totale verrebbe 415,48€ all’anno) per soli 249,99€.

Il prezzo settimanale non è il vero obbiettivo di vendita.

È un’ancora che serve a settarti mentalmente sull’affare che faresti sottoscrivendo un abbonamento più lungo.

L’effetto di questo bias può essere molto potente perché sulla base dell’ancora giustifichi e giudichi le informazioni che ricevi. 

Nel caso del sacchetto di palline di prima, l’ancora l’ha gettata il facile conteggio del 50% di palline rosse. 

Partendo da quest’ancora, l’opzione con il 90% di palline rosse nel sacchetto ha fatto percepire come più facile prendere sette palline rosse di fila. Mentre tra le tre, è proprio l’opzione con minori probabilità di successo (48%).

A prescindere dal fatto che stiamo parlando di un misero 2% di probabilità in più o in meno, è interessante notare come quasi tutti gli intervistati fossero assolutamente certi che sarebbe moooolto più facile pescare le 7 palline in fila.

Dall’altro lato, di fronte a un misero 10% di palline rosse, pescarne anche solo una su sette tentativi è sembrato molto difficile. Eppure questa era l’opzione con la percentuale più alta di probabilità a favore (52%).

Questo principio vale anche per la vita di tutti i giorni.

Se il tuo partner ti prepara ogni giorno la pasta per pranzo quando torni a casa, potrebbe meritarsi il premio di compagno/compagna dell’anno, oppure starti sulle balle.

Dipende dall’ancora: se il tuo ex era allergico ai fornelli e ogni volta che tornavi a casa dovevi metterti a cucinare, avere ogni giorno la pappa pronta è già tanta roba.

Se invece stavi con uno fissato con la cucina che ti faceva trovare ogni giorno un nuovo manicaretto… potrebbe venirti a noia sta cavolo di pastasciutta ad ogni pranzo.

Anecdotal fallacy

«Non è necessario che io smetta di fumare solo perché potrebbe venirmi un tumore: mio zio ha 95 anni, ha fumato come una ciminiera tutta la vita e sta fresco come ‘na rosa».

Se hai sentito almeno una volta qualcuno dibattere a una sorta di conversazione logica tirando fuori il caso di qualcuno che conosce, sei stato testimone dell’anecdotal fallacy (fallacia dell’aneddoto) all’opera.

«È una mossa intelligente avere un’assicurazione antincendio, l’amica di mia madre una volta ha dimenticato la bombola accesa. Fortunatamente nessuno era a casa, ma i risparmi di una vita sono esplosi in frazioni di secondo. Aveva appena finito di pagare il mutuo».

Purtroppo di storie così ce ne sono molte, e puoi star certo che se il protagonista è qualcuno vicino al tuo cliente, quella persona ha fatto di corsa un’assicurazione o sta considerando di farla.

L’azione non è dovuta solo al fatto che sia saggio tutelare i propri beni, la salute e la sicurezza.

L’aneddoto come prova è molto potente in quanto vissuto personalmente o da molto vicino.

Spesso questo bias fa la differenza tra far parte di una corrente di pensiero o un’altra in merito alle assicurazioni.

Chi ne ha contratto una ritiene che, a fronte di un pagamento, tutela i suoi beni e i suoi cari: sarebbe una mossa da taccagni superficiali non farlo.

Chi non ne ha una ritiene sia una spesa di beneficenza nei confronti delle compagnie assicurative e preferisce risparmiare per conto proprio e incrociare le dita che non ci sarà mai bisogno di interventi estremi.

«Alla cugina del mio ragazzo sono entrati i ladri in casa e hanno fatto piazza pulita. Non ha preso un centesimo dall’assicurazione!»

Sia in un caso che nell’altro, l’anecdotal fallacy ha un ruolo importante nell’influenzare la probabilità percepita che un dato caso si verifichi.

E non è l’unico bias.

Euristica di disponibilità

Più un evento è facile da immaginare o ricordare, più è probabile che accada”.

Questa è la scorciatoia che prende il nostro cervello quando “calcola” quante probabilità ci sono che qualcosa succeda.

Il risultato è che i nostri giudizi sono orientati in modo pesante sugli argomenti più recenti e che le nostre idee al riguardo sono a loro volta influenzate dalle notizie più recenti che abbiamo a disposizione sull’argomento. 

Di questo meccanismo senza fine ne parla approfonditamente lo psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia del 2002, nel suo libro Pensieri Lenti e Veloci che gli è valso il Los Angeles Times Book Prize nel 2011.

A tal proposito precisa che: 

“gli argomenti spesso menzionati dai media popolano la mente conscia, mentre gli altri ne scivolano via. Ciò di cui i media scelgono di occuparsi corrisponde a sua volta alla visione che i media stessi hanno di ciò che al momento è nella mente del pubblico. 

Non è un caso che i regimi autoritari esercitino forti pressioni sui mezzi di comunicazione indipendenti. Poiché è più facile che il pubblico interesse sia destato da avvenimenti drammatici e personaggi famosi, è frequente che si verifichino orge mediatiche su determinati argomenti.”

Se il dottor Kahneman avesse scritto il libro nel 2021, gli esempi si sarebbero sprecati.

All’epoca, il riferimento a cui era ricorso era quello della morte di Michael Jackson, tema che ebbe il monopolio di ogni canale televisivo per svariate settimane. 

Qualsiasi altro problema nel mondo era magicamente svanito dalle news, diventato meno importante e meno impellente da risolvere rispetto a ripercorrere vita, morte e misteri attorno al recente dipartito personaggio pubblico.

Vale anche al contrario. Se si smette di parlare di mafia, è come se questa avesse smesso di esistere e di operare. 

Se un evento è molto difficile da immaginare, per noi è altamente improbabile che si verifichi e di conseguenza siamo colti alla sprovvista quando succede.

Permettimi di non portarti una fonte scientifica per questa volta, ma una fonte che personalmente ritengo senz’altro degna.

Il calzante esempio ci è stato regalato dall’aplomb di Olenna Tyrell de Il Trono di Spade, saga che racconta contorti giochi di potere, scontri e alleanze tra le più potenti e nobili famiglie di un continente immaginario per la conquista del trono.

Olenna, a capo della casa Tyrell, di fronte all’ormai avvenuta sconfitta, confessa al fratello della sua nemica qual è stato il suo vero limite nel prepararsi a dovere agli attacchi subiti:

«Io ho fatto delle cose indicibili per proteggere la mia famiglia. Oppure sono state commesse su mio ordine. E non ho mai perso il sonno per questo. Erano necessarie. Qualunque cosa abbia reputato necessaria per la sicurezza dei Tyrell, l’ho fatta.  

… Ma tua sorella ha compiuto atti che io non avrei mai potuto immaginare.

Questo è stato il mio errore più grande: mancanza di immaginazione»

E se questa “colpa” può addirittura determinare una sconfitta in guerra, c’è solo da immaginare in che trappole ci fa piombare quando dobbiamo prendere decisioni importanti e ci basiamo solo quello che ricordiamo o siamo capaci di immaginare. 

Gambler’s fallacy

Nel caso della “fallacia dello scommettitore” (Dio, quanto è brutta la traduzione in italiano), non c’è nessun calcolo matematico di probabilità, ma la mera convinzione che sequenze del passato aiutino a prevedere andamenti futuri governati dal caso.

È conosciuto anche come Bias di Monte Carlo per una sequenza insolita verificatasi il 18 agosto del 1913 nel casinò di Monte Carlo: 26 tiri di fila sul nero. La probabilità che questo succedesse era di una su 66.6 milioni. 

I giocatori persero milioni di franchi puntando sul rosso, pensando che dopo una lunga sequenza di neri fosse in qualche modo “il turno” di una lunga serie di rossi.

Nessuna logica domina questo ragionamento.

Per ogni tiro hai il 50% di possibilità che esca un colore o un altro, ma se sei sotto l’effetto della fallacia dello scommettitore, sei convinto di altro.

Come per il lancio della moneta: ciascuno dei due versi ha una probabilità identica a prescindere dal numero di volte che la moneta è stata lanciata e dai risultati già usciti. 

La fallacia dello scommettitore porta invece a farci pensare che nel lancio successivo sia più probabile che esca Croce piuttosto che Testa in base ai precedenti lanci. 

Probability Neglect

Se il gambler’s fallacy è una percezione falsata delle probabilità, nel caso del probability neglect, il nostro cervello quelle probabilità le ignora bellamente.

È un termine coniato da Cass Sunstein, professore della Harvard Law School, in passato consulente della Corte Suprema e del Dipartimento di Giustizia Federale USA e responsabile della White House Office of Information and Regulatory Affairs.

Si tratta di un bias che porta le persone a concentrarsi sulle conseguenze di un evento ignorandone l’effettiva probabilità di verificarsi. Letteralmente significa “ignorare le probabilità”.

Le persone sotto l’azione di questo bias possono sia sottovalutare un rischio o, al contrario, avere reazioni smisurate di fronte a un pericolo che ha basse probabilità di verificarsi, ma un alto impatto qualora si presentasse.

Detta semplice: comportamenti irrazionali dovuti a un calcolo erroneo di probabilità.

Nel suo testo Terrorism and Probability Neglect pubblicato nel 2003, Sunstein spiega che quando sono coinvolte forti emozioni, le persone tendono a concentrarsi su quanto potrebbero essere terribili le conseguenze se una data tragedia si verificasse, invece di pensare alle probabilità che tale catastrofe possa davvero diventare realtà.

Nella sua ricerca usa l’esempio delle minacce terroristiche, che hanno innescato reazioni come vivere preoccupati che possa scoppiare un attacco da un momento all’altro, facendo dimenticare problemi e rischi statisticamente più diffusi nella vita quotidiana.

Secondo Sunstein, in casi simili, i governi stessi tendono a rispondere secondo il probability neglect, introducendo normative che potrebbero essere ingiustificate o addirittura controproducenti.

Per la serie, dalla cima delle gerarchie mondiali ai Mr. Bean di noialtri, i bias sembrano non risparmiare nessuno. 

Perché Mario compra l’assicurazione e Paolo no?

Perché c’è chi assicura anche la spedizione dei vestiti Made in China presi su Wish e chi non investe un centesimo per assicurare la nuova casa da 500mila euro?

In generale, chi preferisce tutelarsi ha una forte convinzione che sia importante cercare strumenti che aiutino a proteggere la propria vita e i propri beni.

E, come avrai ormai capito, c’è anche lo zampino di due bias.

Loss aversion e Status quo bias

Il bias dello status quo è la tendenza a percepire come perdita qualsiasi cosa che cambi l’attuale stato delle cose, e va a braccetto con il loss aversion bias (bias dell’avversione alla perdita). 

È il bias che che ci porta a sentire più dolore per una perdita che piacere per una ricompensa.

Il dolore di perdere 1000€ può per molti essere più forte del piacere di guadagnare la stessa cifra.

Chi è colpito da questo bias ha la tendenza a preferire di evitare delle perdite ed è più disposto a non far caso alla cifra costante da pagare in cambio della copertura assicurativa (anche qualora le tragedie coperte dal piano abbiano una bassa probabilità di verificarsi).

Illusion of control bias

Dall’altro lato, chi ha un modo di pensare caratterizzato da un certo ottimismo, spesso è colpito da un bias chiamato Illusion of control  (illusione del controllo), che porta a sopravvalutare la capacità di influenzare il risultato di alcuni eventi.

Un esempio di illusione di controllo è una frase del tipo “se guido sempre rispettando le regole, il rischio che mi capiti un incidente è quasi zero”.

Per carità, sicuro è meglio che saltare ogni semaforo e non fermarsi sulle strisce, ma il rischio di incidente è legato anche alla guida di tutti gli altri automobilisti e a eventi di vario tipo che non c’entrano neanche nulla con la guida.

Oppure “se mangio sano e mi alleno non morirò giovane, quindi posso pensare a un’assicurazione quando sarò anziano”. 

La dirò senza che ci sia il bisogno di far corna: non tutti gli incidenti che possono capitare sono legati al funzionamento del nostro corpo.

Questi sono alcuni dei bias che ci portano a prendere una decisione piuttosto che un’altra, e arrivato a questo punto dovrebbe essere palese che queste decisioni non sono frutto di calcoli ponderati, misurazioni di probabilità e fredde statistiche.

I nostri giudizi, soprattutto quando sono coinvolte forte emozioni, che ci piaccia o meno, sono contaminate dai bias

Anche se non possiamo metterci a salvo, possiamo ridurre il rischio di agire sotto la loro influenza e studiarne le molteplici sfaccettature per capire quali bias caratterizzano di più in un determinato settore.

Chi per esempio lavora nel mondo assicurativo ed è convinto che non ci sono buoni motivi per non tutelare la propria casa da spiacevoli incidenti, potrebbe perdere il senno cercando di capire come sia possibile che l’unica risposta di un potenziale cliente sia:

Ma figurati se sta roba succederà proprio a me”.

Non è superficialità. 

Sono i bias all’opera e modi di pensare diversi.

È per questo motivo che se comunichi con i tuoi potenziali clienti ignorando quali sono i meccanismi che regolano le loro decisioni, la tua comunicazione si perderà nel mare magno di parole che ogni giorno vengono scritte e dette.

Non tutti i clienti sono mossi dalle stesse emozioni. 

Non tutti i settori si rivolgono alle stesse persone.

Conoscere i tuoi potenziali clienti è solo l’inizio per riuscire a parlare con loro la stessa lingua e fargli capire perché le soluzioni che tu hai da offrire sono davvero la migliore opzione per loro.

Invece chi è pro assicurazioni spesso ascolta le ragioni dei non assicurati lasciando trapelare uno sguardo di condiscendenza e superiorità, ritenendoli persone affette da mancanza di buonsenso e giuste informazioni.

Sottovalutare ciò che si innesca nel cervello di chi ti ascolta può portare solo frustrazione e incomprensioni, e risultare arrogante per chi è dall’altro lato.

…Non è proprio la ricetta migliore per conquistare qualcuno!

Creare il tuo materiale marketing guidando i tuoi lettori a difendersi dalla valanga di errori cognitivi che portano a direzioni controproducenti è un’impresa vera e propria.

Se ti ci metti da solo, è una vera e propria impresa impossibile.

Roba che Tom Cruise spostate lesto…

Il primo passo è analizzare tutti i meccanismi decisionali che i tuoi clienti adottano di base nel tuo settore, poi capire le emozioni che li innescano. 

Ti servirà anche armarti di concetti, statistiche, studi, probabilità e tanta apertura mentale per capire sistemi decisionali che a volte potrebbero sembrare diametralmente opposti tra loro.

Questa è la parte “facile“.

Il difficile arriva quando devi trasferire tutte queste informazioni per creare materiali di marketing che vadano a colpo quasi sicuro.

Per fortuna io e il Team Propagando ci possiamo occupare di tutto questo senza farti impazzire e schiantare soldi in bizzarre attività di marketing poco performanti.

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Sì, ok. Ma sta roba funziona?

Se lo chiedi a me, sto portando acqua al mio mulino.

Lascio che sia un mio cliente, assicuratore, a parlartene.

Eh già…

Non vedo l’ora di poter lavorare con te e realizzare anche i tuoi materiali di marketing.

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