Terrorizzi il tuo cliente? Preparati a perderlo

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Una paura per domarli, una paura per trovarli, una paura per ghermirli e al tuo copy incatenarli

L’ho fatto di nuovo. 

Ma questa semi citazione di Tolkien era troppo perfetta per introdurre la madre di tutte le paure.

Quella che si trova alla base di ogni forma di ansia e che è in qualche modo all’origine di tutte le paure che ci possono venire in mente.

La paura dell’ignoto

Lorenzo il Magnifico in pieno Rinascimento fiorentino scriveva “Chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza” .

Qualche secolo più tardi anche Lovecraft confermava che “La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto”.

Lato marketing però comporta un problema non da poco: 

è l’unico tipo di paura che porta a restare immobili. 

Tipo così

Per questo il tuo copy deve a tutti i costi evitare di installarla nella mente dei tuoi lettori.

Le minacce prevedibili hanno sempre prodotto una risposta attacco-o-fuga che ha un chiaro elemento di innesco, come ad esempio un orso che ci corre incontro, e che si riduce fino a sparire una volta che la minaccia è scomparsa.

Questo tipo di paure possono/devono essere sfruttate nel marketing per persuadere i tuoi potenziali clienti ad agire e a reagire. Per farli uscire da uno stato di apatia. Per spingerli a combattere un pericolo o a sfuggirne, concreto o potenziale che sia.

La paura dell’ignoto invece li blocca perché genera incertezza, insicurezza, dubbio e indecisione. 

Tutte emozioni paralizzanti.

Di fronte a molteplici alternative, piuttosto che correre il rischio di sbagliare, preferiscono “restare fermi”. Perdere l’occasione. Posticipare la scelta. Cercare altri pareri. 

In una parola: rimandare.

Nel corso della nostra evoluzione abbiamo capito come sconfiggere gran parte delle nostre paure grazie ad un potente alleato della nostra mente.

La razionalità è stata la prima grande arma che abbiamo messo in atto per difenderci dalla paura.

La ragione funge da anestetico per la maggior parte di queste. 

Eppure è impossibile appellarsi alla razionalità quando non abbiamo appigli a cui attaccarci. Quando non sappiamo cosa succederà.

Ecco perché affermo che la paura dell’ignoto è la più grande di tutte le paure.

Perché non abbiamo armi per combatterla.

Secondo quanto riportato da uno studio dei ricercatori dell’Università di Chicago, numerosi disturbi d’ansia, tra cui il disturbo da attacchi di panico, la fobia sociale e le fobie specifiche condividono un tratto comune: una sensibilità emotiva aumentata per stimoli minacciosi che non ci permettono di sapere cosa ne sarà di noi o cosa ci succederà.

Stephanie Gorka, autrice dello studio conferma:

la paura dell’ignoto non è altro che ciò che noi chiamiamo ansia anticipatoria. Qualcosa di molto simile a ciò che avviene quando il nostro medico curante ci chiama per comunicarci i risultati degli esami a cui ci siamo sottoposti e non sappiamo esattamente cosa aspettarci.

Uno degli studi più recenti a sostegno di questa tesi è stato condotto nel 2016 da Nicholas Carlton, dell’università canadese di Regina.

La paura del buio o di non sapere cosa succederà è la prima paura che sperimentiamo da neonati, quando il nostro cervello non ha ancora sviluppato schemi motori, riflessi, conoscenze e capacità predittive.

Tempo fa avevo chiesto ai partecipanti del gruppo Facebook di Propagando “qual è secondo te la madre di tutte le paure”.

Le più ricorrenti nelle risposte possono tutte essere ricondotte alla paura di non sapere cosa succederà dopo.

  • La paura della perdita è la paura di non sapere che ne sarà di noi senza quelle che fino ad ora sono state le nostre certezze.
  • La paura di essere giudicati è la paura di non sapere se avremo ancora qualcuno dalla nostra parte una volta palesata la nostra posizione.
  • La solitudine sociale è la paura di non sapere come tirare avanti senza qualcuno a fianco.
  • La morte è l’espressione più pura e genuina della paura dell’ignoto e di non sapere cosa c’è dopo.
  • La paura di sbagliare e la paura del fallimento non sono altro che paure generate dal non sapere cosa succederà in seguito all’azione o alla decisione che prenderemo.

Ecco perché la paura dell’ignoto è la madre di tutte le paure

Ma è anche l’unica che non puoi sfruttare a tuo favore.

Anzi, devi fare il possibile per evitare di generarla nei tuoi lettori.

Nei tuoi articoli e nelle tue sales letter devi essere sicuro di fare una cosa: riduci, fino a eliminare completamente, l’incertezza verso cosa accadrà nel futuro.

Cosa succederà al tuo cliente subito dopo che avrà comprato? E nel lungo termine?

Il tuo copy deve anticipare, punto per punto, tutto quello a cui andrà incontro dal punto di vista razionale ed emotivo.

Il non saperlo potrebbe spingerlo a rimanere immobile, inchiodato dall’incertezza, e non comprare.

E già che ho usato questa espressione, ci tengo a sottolineare una differenza.

NON decidere di acquistare e decidere di NON acquistare non sono affatto la stessa cosa

Il primo è legato a fattori di pigrizia, dubbio, rimandite cronica o paura del cambiamento.

Il secondo è frutto di una consapevole decisione del tuo cliente che ha capito che non fai per lui.

Un sondaggio del 2015 sull’ottimizzazione delle prestazioni di vendita condotto da CSO Insights ha rivelato che tra il 20% e il 28% dei preventivi fatti non portano ad alcuna decisione. 

(Lo studio ha preso in considerazione solo preventivi realizzati in fase avanzata di trattativa, non quelli a freddo)

L’argomento è trito e ritrito qui nel blog di Propagando, ma continueremo a ripeterlo fino alla noia: le decisioni dei tuoi clienti non sono e non saranno MAI del tutto razionali. 

In alcuni casi, la soluzione che il tuo potenziale cliente sta già attuando può essere tecnicamente, qualitativamente o economicamente migliore dell’alternativa che stai cercando di proporgli. 

In tutti gli altri casi, però, la loro decisione di non effettuare un acquisto non può essere spiegata su base razionale. 

Quando questo si verifica, di solito è un risultato causato dal bias dello status quo, un potente bias cognitivo che di base ci rende avversi al cambiamento.

E in qualche modo il bias dello status quo è legato proprio alla paura dell’incognito di cui ti ho parlato finora.

Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova

Così dice dice il proverbio.

La saggezza popolare è quasi sempre frutto di abitudini e istinti che, guarda caso, sono i driver che regolano le nostre decisioni.

Gli psicologi hanno dimostrato l’esistenza del bias dello status quo in numerosi esperimenti a partire dalla fine degli anni ’80. 

Da quel momento, diversi ricercatori ed economisti comportamentali hanno tentato di identificare le cause e le conseguenze di questo bias. 

Le prove dimostrano che il bias dello status quo è causato da altri pregiudizi nel processo decisionale umano. 

Daniel Kahneman sostiene che il pregiudizio dello status quo è legato all’avversione alla perdita. 

La maggior parte delle persone fa dello status quo il proprio parametro di riferimento e tende a vedere il cambiamento di questo punto di partenza come una perdita. 

Visto che percepiamo e valutiamo le perdite più dei potenziali guadagni, diventiamo avversi alla perdita, il che ci rende inclini a non cambiare lo status quo.

Altri psicologi hanno attribuito il pregiudizio dello status quo al desiderio umano di evitare o ritardare scelte difficili o complicate, e ci sono diversi studi che dimostrano che le persone hanno maggiori probabilità di restare fedeli allo status quo quando le alternative sono difficili da valutare o confrontare.

Dopo tutta sta psicopappardella che ti sei sorbito finora, immagino che starai continuando a leggere solo per avere la soluzione, giusto?

Come sempre, non ci sono soluzioni miracolose. 

Ma voglio condividere con te alcuni approcci che mi sono reso conto funzionare piuttosto bene.

Una tattica usata in psicologia per portare ad agire nonostante la paura è inquadrare lo status quo in una perdita immediata, significativa e, soprattutto, certa. 

In poche parole, “pesta come un fabbro vichingo sul pain”, elencando tutto quello che quasi di sicuro succederà al tuo potenziale cliente se non si smuoverà da dove si trova.

Il fuoco si combatte con il fuoco e i bias si annientano con altri bias

In questo caso l’avversione della perdita, se stimolata a dovere col giusto neurocopy, può aiutarti smuovere l’impasse.

A questo proposito. Una doverosa nota sul pain:

Se c’è una cosa che odio del copy è questa mania, presa a due mani dall’infomarketing, di voler stimolare la paura con delle frasi o delle headline degne di un rispettabilissimo rappresentante di Al Qaeda.

Mi basta che ti sia chiaro quello che sto per dire e che eviti di condannare la tua reputazione, andando a sbattere contro questo tipo di approccio.

“Stimolare il pain”non significa trasformarsi in terroristi da tastiera.

Lo so che questo principio è contrario a tutto quello che puoi aver letto o sentito sull’argomento, ma ci sono due fattori che devi tenere in considerazione.

IL PRIMO:

Questo tipo di approccio criminale puoi usarlo solo se vendi infoprodotti di bassa lega. 

Probabilmente tra un mese o due starai lanciando un nuovo corso, un nuovo libro o un nuovo programma. Non hai tempo (né interesse) di costruire una reputazione. 

L’importante è spremere quello che riesci dall’opportunity seeker di turno. I modi più facili per riuscirci sono sempre quelli: esageri a dismisura le promesse o ricorri al terrorismo psicologico per violentarlo.

Un approccio barbaro, ma su alcune tipologie di clienti comunque efficace. Di certo però non ti porterà alcun vantaggio nel medio o nel lungo termine. Anzi…

Motivo per cui, se non hai in mente di scappare con la cassa entro un paio di mesi, ci penserei un paio di volte prima di cadere in questo tipo di copy “scadente”.

IL SECONDO:

Il copy che viene insegnato in Italia è quasi sempre tradotto paro paro da qualche corso per infomarketer americani. Non che ci sia qualcosa di sbagliato in questo. Ma il mercato è oggettivamente diverso. 

È diversa l’attitudine al marketing che hanno oltreoceano ed è diverso vendere “l’ennesimo corso per diventare ricco con X” rispetto a vendere una protesi per aiutare le donne che stanno combattendo contro il cancro (ad oggi, l’argomento più difficile e delicato con cui mi sia mai dovuto confrontare).

Il copy per infomarketing, al suo estremo, deve vendere l’illusione che questa o quella informazione cambierà per sempre la tua vita. 

Ma noi piccoli Roberti Carlini non vendiamo illusioni…

Le nostre solide realtà sono fatte di macchinari industriali, skin care, prodotti per capelli, panini, assicurazioni, servizi di grafica, competenze, ristorazione, accesso al credito, ecc.

Immagine per chi è riuscito a entrare in un bunker anti pubblicità, e si è perso la reference

C’è poco da illudere e molto da saper dire e saper spiegare.

E certo, dobbiamo far leva su una paura. Ma una paura vera. Concreta. Preventivabile. Realistica.

Non su un po’ di pain un tanto al chilo.

Quindi, aperta e chiusa questa parentesi, stavamo parlando delle strategie per combattere la paura dell’ignoto e il bias dello status quo.

Un ottimo modo per abbassare il rischio percepito è usare garanzie, test gratuiti, casi studio, testimonianze, campioni omaggio, consulenze gratuite, analisi strumentali preventive, ecc.

L’equazione è semplice quanto efficace: basso rischio percepito = alta propensione a provare

Infine, assicurati che il tuo copy includa sempre esempi di persone e/o attività che hanno adottato con successo la tua offerta e che hanno ottenuto vantaggi significativi come risultato di quella decisione. 

Come esseri umani, desideriamo ardentemente il consenso quando dobbiamo prendere la decisione di cambiare.

Siamo più propensi a cambiare quando vediamo che altri prima di noi (e come noi) hanno fatto una scelta simile.

Come passare da tutta questa teoria alla pratica

Ora che hai aggiunto un tassello in più alle tue conoscenze di neurocopy, non ti resta altro da fare che mettere questa teoria in pratica per la creazione dei tuoi materiali di marketing.

Impresa in cui non ti consiglierei mai di avventurarti da solo considerati i delicati meccanismi che si possono innescare di fronte a una copy strategy impostata in modo scorretto o inefficace.

Se vuoi quindi alleggerirti del compito di occuparti in prima persona di questo meraviglioso labirinto che è il cervello del tuo cliente e vuoi delegare a me e al mio team la creazione dei tuoi materiali di marketing, tutto quello che devi fare è cliccare QUI.

Ah.

Un’ultima cosa.

Visto che abbiamo parlato di status quo, mi sento in dovere di inserire un disclaimer: con il nostro ingaggio potresti metterlo in pericolo, già che ti toccherà gestire un carico di lavoro (e di bonifici in arrivo) ben più altri di quelli che hai ora, proprio come è successo ad altri nostri clienti.

La tirata di orecchi da Marta ormai me la sono beccata, ma almeno tu sei stato avvisato!

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