Come mettere in leva la psicologia del passaparola per trasformare i tuoi clienti in venditori

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Non dovrebbe esserci alcun dubbio sul fatto che oggi non esiste marketing più efficace del caro, vecchio, passaparola.

C’è stato un tempo in cui era sufficiente creare un prodotto o un brand, costruirci sopra un copy convincente e darlo in mano ai venditori per veder esplodere le vendite.

Ma nel corso degli ultimi anni, per colpa (o merito) di internet, i tuoi stessi clienti sono diventati parte attiva nella creazione di prodotti, servizi, posizionamento, messaggi e vendite. 

Sia nel bene che nel male.

Chi acquista online è stanco di banner pubblicitari e pop-up che spuntano fuori a destra e a manca.

Non si fida più a scatola chiusa di aziende e professionisti che si parlano addosso, affermando ogni volta di essere i leader di settore o i numero 1 di turno.

Quando tutti dicono di essere i migliori, paradossalmente, l’unico che finisce per esserlo davvero è chi non lo ostenta apertamente, ma lascia che siano gli altri a suggerirlo.

Secondo uno studio condotto dalla Harris Insights and Analytics, una società di ricerche di mercato con sede a Chicago e New York, l’82% delle persone, prima di fare un acquisto, cerca consigli da familiari, amici, colleghi o conoscenti.

È chiaro che i tuoi clienti vogliono avere qualche informazione e rassicurazione in più, prima di sciogliere i legacci del loro borsello.

Ma non puoi essere tu a dargli quel tipo di sicurezza che stanno cercando. Perlomeno non sempre.

Sarebbe come chiedere all’oste se il vino è buono…

Se proprio dovessi riassumere in una sola frase cosa vuol dire “fare marketing”, la risposta sarebbe questa:

Produrre ogni contenuto possibile e immaginabile per abbassare il livello di diffidenza dei tuoi potenziali clienti nei tuoi confronti

Dato per assodato che la storia di vendere ghiaccio agli eschimesi o sabbia ai beduini è solo un modo di dire e che non ha senso sforzarsi tanto per tentare di rifilare a qualcuno qualcosa di cui cui non ha bisogno, quello che le persone comprano è sempre, banalmente, una soluzione a un problema.

Ogni acquisto, in un modo o nell’altro, viene fatto per risolvere un qualche tipo di problema.

  • Compriamo cibo al supermercato perché abbiamo il problema di riempirci la pancia.
  • Paghiamo la polizza all’assicuratore perché abbiamo il problema di non sentirci protetti.
  • Spendiamo migliaia di euro in borse firmate perché abbiamo il problema di non sentirci socialmente accettati.

Soluzioni a problemi. 

Ogni mercato gira attorno a questo semplice concetto.

Alcuni problemi possono essere diretti e dichiarati. Altri nascosti e più intimi, ma il succo del discorso non cambia.

Preso atto della cosa, il vero dubbio di ogni tuo potenziale cliente diventa semplicemente capire se “la tua soluzione” è quella giusta per risolvere “il suo problema”.

Nella maggior parte dei casi, tutto quello che lo separa dal portare a termine il suo acquisto, si può ridurre ad un “semplice” problema di fiducia. 

  • “Posso fidarmi che funzionerà come promesso?”
  • “Sarò in grado di usarlo?”
  • “Sicuro che non farò brutta figura?”
  • “Non ne rimarrò deluso?”

Se c’è un fatto di cui puoi essere sicuro è che l’unica cosa che i tuoi clienti temono più del non risolvere il loro problema è rischiare di peggiorarlo.

Hai presente quella sensazione di aspettativa, entusiasmo ed eccitazione che, a diversi livelli, accompagna praticamente ogni acquisto che fai?

È figlia della speranza di aver trovato la soluzione a quel problemino che ti assillava. Ma niente ci fa più paura del vedere distrutta e calpestata quella speranza.

Per questo non ci fidiamo a scatola chiusa di quello che dice il marketing ma preferiamo piuttosto ricevere i consigli di una persona di fiducia che ci sembra disinteressata.

È un modo per scaricare sulle spalle di qualcun altro l’incognita del rischio.

Aziende come Booking, AirBnB, Tripadvisor e Amazon sono nate e hanno prosperato perché finalmente veniva offerta al consumatore la possibilità di abbassare il livello di incertezza sulla scelta di location, hotel, ristoranti o prodotti in generale, grazie alle recensioni e valutazioni di centinaia di persone.

Così se nell’hotel c’erano le ragnatele, se il pesce faceva l’effetto del Gutalax o se il prodotto aveva delle magagne, potevi saperlo in anticipo e non correvi il pericolo di rovinarti le vacanze, la cena o di ritrovarti per la mani qualcosa di inutile.

Quando sono andato a New York a Natale con la Fra, abbiamo scelto l’hotel selezionando solo quelli con un punteggio superiore a 9 su 10 per andare sul sicuro e leggendo le recensioni.

Ovviamente però ci fidiamo molto più di una persona con cui siamo in confidenza, rispetto che un perfetto sconosciuto.

Ecco perché è nel tuo interesse trovare il modo di trasformare i tuoi clienti in tanti piccoli segnalatori che ti portano contatti e clienti ai quali probabilmente non saresti mai riuscito ad arrivare o a convincere solo con le tue forze.

In termini markettari, la strategia di incoraggiare i tuoi clienti a indirizzare i loro contatti verso la tua offerta, si chiama referral marketing.

Non c’è un modo di italianizzare questo termine. 

La parola referenze non ha lo stesso significato di referral, quindi perdonami se continuerò ad usare la versione inglese.

Messa giù così, sembra la figata del secolo…

Clienti che si trasformano in venditori e che si moltiplicano l’uno con l’altro 

È il sogno di ogni imprenditore.

Ma, come sempre, è una cosa più facile a dirsi che a farsi.

Mettere in piedi una campagna o un sistema di referral è un gioco da ragazzi. Ma fare in modo che i tuoi clienti si espongano e si spendano per te… ecco, questo è un tantinello più difficile.

In realtà è strano perché siamo biologicamente portati a condividere.

C’è una piccola parte del cervello, l’ipotalamo, che oltre a regolare gli impulsi sessuali, la sete e la fame, l’istinto materno, l’aggressività e il piacere, ci rende propensi a fare referral. 

L’ipotalamo ama la convalida: registra il piacere di fare del bene al prossimo, ma soprattutto il riconoscimento che ne deriva. 

In questa piccola nocciolina ha sede anche il bisogno che abbiamo di appartenere a qualcosa di più grande di noi stessi, che poi non è altro che la spinta sociale per fare referral. 

In quanto esseri umani, siamo fisiologicamente portati a dare consigli. 

Creiamo recensioni e diamo suggerimenti come forma di sopravvivenza.

Pensaci… 

Cosa succede quando qualcuno ti chiede se conosci un buon commercialista? 

Se te ne viene in mente uno, glielo suggerisci subito. In caso contrario ci pensi e magari fai una chiamata o due per sentire se tra i tuoi contatti qualcuno ne conosce uno bravo. 

Istintivamente, sappiamo che prima o poi potremmo aver bisogno di veder contraccambiato quel favore, per questo trasmettiamo quello che sappiamo agli altri: per crearci un credito nella nostra comunità. 

Esiste una legge naturale a cui istintivamente ci atteniamo: se fai qualcosa per me, sono implicitamente obbligato a fare qualcosa per te.

Le radici di questo istinto risalgono a un’epoca in cui un suggerimento per la caccia o per la pesca poteva significare la differenza tra vita e morte. 

Essere riconosciuti come una fonte di buone informazioni (referral compresi) è un ottimo modo per creare connessioni con gli altri.

Siamo animali sociali. Abbiamo bisogno di connetterci.

Pensa con quanto entusiasmo hai risposto l’ultima volta che qualcuno ti ha chiesto consigli su dove andare a sciare o al mare. 

Fare referral è un modo molto soddisfacente di connettersi con gli altri: chiedere referral è semplicemente l’altro lato dello stesso fenomeno. 

L’esplosione di Facebook, Instagram o Whatsapp può essere ricondotta al bisogno di connetterci e formare comunità attorno a idee, valori o passioni che condividiamo con altre persone.

Personalmente ho perso il conto dei gruppi su whatsapp in cui sono dentro. La maggior parte addirittura con le stesse persone. 

In uno nerdiamo su videogiochi e anime. Su un altro condividiamo meme di dark humor. Poi abbiamo quello dove pubblichiamo solo roba di lavoro e uno dove discutiamo di temi di attualità…

Ma appena leggo una notizia, vedo un prodotto o scopro un evento che sono sicuro potrebbe interessare alle persone di quel gruppo, mi precipito a condividerla.

Ma allora perché è così difficile chiedere referral ai tuoi clienti?

Uno studio condotto dalla Texas Tech University ha dimostrato che anche se l’83% dei clienti soddisfatti dice che porterà dei referral, solo il 29% poi lo fa veramente.

Sfortunatamente, c’è una piccola regione dell’ipotalamo che monitora, controlla e analizza quella potente emozione nota come paura

Il nostro cervello equilibra e misura costantemente, spesso a livello subconscio, piacere e paura, guadagno e dolore, rischio e ricompensa e le probabilità di ogni scelta di produrre l’uno o l’altro risultato. 

Anche se siamo istintivamente portati a fare referral, esporsi per qualcun altro rappresenta sempre un potenziale rischio. 

Quando suggeriamo a un amico di comprare un prodotto o un servizio, stiamo affidando la fiducia che abbiamo costruito con quella persona nelle mani del brand o del professionista che consigliamo. 

Ovviamente, il livello di rischio varia in base all’entità del referral.

C’è un rischio maggiore nel dare un consiglio per un buon commercialista, che nel suggerire qual è il miglior sushi in zona.

Ma mentre ci immergiamo nelle strategie e nelle tattiche di alcune aziende per fare referral nel mondo reale, vedrai che un approccio basato sulla fiducia è sempre in grado di ridurre la paura e il rischio.

Il modo più sicuro per rimuovere quasi del tutto questo rischio è fare affidamento su un neurocopy che funzioni sia a livello logico che emotivo.

I tuoi clienti decidono se consigliarti ai loro contatti nello stesso modo in cui decidono come comprare per loro stessi. 

Valutano razionalmente se per i loro amici sei conveniente e ti adatti bene al bisogno che hanno, ma anche se il loro suggerimento li farà sentire sicuri, intelligenti o competenti a livello emotivo.

Se l’attrattività emotiva che sei in grado di generare è molto forte, puoi anche riuscire a fargli razionalizzare quello che altrimenti potrebbe sembrare un difetto razionale, come un costo più elevato della media. 

La maggior parte delle aziende si concentra solo sull’aspetto razionale come prezzi, caratteristiche e vantaggi, ignorando i benefici emotivi che invece sono la parte più importante nell’esperienza del cliente.

Le persone non si emozionano e non si appassionano a prodotti ordinari, a un risultato soddisfacente o ad un prezzo equo. 

Invece condividono e parlano di cose che li sorprendono o li fanno sentire bene con se stessi. 

È l’aspetto emotivo che rimuove la percezione di rischio che potrebbero avere nel consigliare la tua azienda ad un amico.

Prima di andare avanti, voglio condividere con te una cosa che trovo davvero assurda legata al referral marketing e che ha a che fare col mindset.

Non ho un dato precisa da riportarti, ma a spanne circa 3 clienti su 5 che chiedono il nostro aiuto per realizzare i propri materiali di marketing, ritengono che più della metà dei loro nuovi clienti arrivi dal passaparola.

È un dato molto interessante, ma quello che mi sconvolge è che nonostante se ne rendano conto, quasi nessuno di loro ha messo in piedi qualche tipo di strategia per stimolare questo passaparola e generare referral.

Come può un imprenditore sapere che il passaparola è così potente ma fare così poco per trarne vantaggio? 

Perché non incentiva attivamente nuovi contatti e nuove segnalazioni, senza lasciare che sia la casualità del passaparola a decidere?

Proprio questa settimana ho fatto la consulenza mensile con una cliente che seguo dallo scorso settembre ed è dalla sua risposta a questa domanda che mi è venuto lo stimolo di scrivere questo articolo.

“Faccio fatica a chiedere nuovi contatti. Quando ho provato a farlo mi dicevano: “Ok, ci penso e ti so dire nei prossimi giorni”. Ma poi non mi dicevano mai nulla e io mi sentivo “sporca” nel ricontattarli solo per ricordargli di suggerirmi qualche contatto. Ho anche provato a offrire un incentivo, ma non ho ottenuto niente comunque. Per questo motivo ho smesso di chiedere. Penso che il passaparola funzioni solo se è spontaneo.”

Chiedere fa paura

È normale. Perché racchiude in se il rischio di sentirsi dire di un NO con tutte le insicurezze che ne derivano.

Quel “no” potrebbe essere frainteso come un “no, non mi è piaciuto quello che mi hai venduto”, “no, non mi è piaciuto come mi sono sentito affidandomi a te”, “no, quello che vendi non è all’altezza delle aspettative”.

Sono tutte affermazioni che potrebbero minare la nostra fiducia in noi stessi.

La realtà delle cose è che, se sai di aver fatto un buon lavoro, dietro a quel “no” si nasconde un solo significato: “no, perché ho paura di espormi al giudizio degli altri”.

Il motivo per cui i tuoi clienti non ti stanno portando i referral che vorresti ha a che fare solo con un problema di fiducia: nei tuoi confronti e in loro stessi.

Anche loro hanno paura di sentirsi dire “no” e di essere giudicati.

Per questo gli devi mettere in mano gli strumenti per poterti portare contatti e clienti con il minor rischio da parte loro.

Vuoi davvero trasformare i tuoi clienti in venditori?

Allora trattali come tali!

Sono sicuro che non manderesti mai un tuo venditore allo sbaraglio a cercare clienti senza un qualche tipo di materiale di marketing nel suo arsenale, giusto?

Allora perché lasci che i tuoi clienti vadano in giro “disarmati”?

A quasi tutte le persone piace dare consiglio, ma quasi nessuno si sente a proprio agio nel forzare la vendita.

Non puoi aspettarti che i tuoi clienti facciano tutta la trattativa al posto tuo.

Se vuoi che si sentano a proprio agio nel portarti referral, devi dargli gli strumenti per riuscire a farlo. 

Non puoi permetterti di lasciare che siano loro a doversi arrabattare su cosa dire ai suoi contatti per convincerli, affrontando da soli la paura di un rifiuto.

Usali piuttosto come una sorta di “postino”. Rendigli la vita facile. 

Fai in modo che debbano solo consegnare i materiali di marketing che hai preparato per lo scopo, limitandosi a dimostrare il sincero entusiasmo dell’aver avuto a che fare con te. 

Poi assicurati che abbia almeno una sales letter, un libro, un magalog, un pacco, o un link a una landing page scritti come copy comanda per dare il via alla vendita vera e propria.

Stop.

Tutto qua.

Questo è tutto il livello di rischio che dovrebbero accollarsi.

Ti sarai reso conto che è un lavoro molto diverso rispetto che mandare una mail, fare una telefonata o organizzare un appuntamento per chiedere a freddo “i contatti di 5 amici che secondo te potrebbero essere interessati”.

Considera che un cliente che arriva a te tramite referral e che si trova bene è molto probabile che poi sia portato a portarti altri referral a sua volta. 

Se credi che quello che vendi sia davvero valido, stai facendo un cattivo servizio ai tuoi clienti non rendendogli facile far scoprire questi vantaggi ai loro amici. 

Se fino ad ora ti sei ripetuto in testa una frase tipo “Credo che i referral si ottengano solo facendo un buon lavoro e non chiedendoli“, mi viene da pensare che non sei veramente sicuro del valore dei tuoi prodotti e servizi. 

Ma sicuramente mi sbaglio…

Le aziende migliori chiedono sempre referral, non solo per acquisire nuovi clienti, ma anche per aiutare molte più persone a ottenere i risultati che stanno cercando. 

Non è questione di arroganza. 

Se sai di essere bravo o di vendere un prodotto davvero valido, è “umanamente caritatevole” fare tutto quello che serve per non lasciare che i tuoi potenziali clienti rischino di cadere nelle grinfie dei tuoi competitor.

Perfetto.

Questa “brevissima” introduzione mi è servita solo per affrontare la questione “perché non dovresti farti tanta falegnameria mentale (ndr. seghe) nel chiedere ai tuoi clienti contatti”.

Che ne dici se ora passiamo alla parte pratica? 

Perfetto.

Fino ad ora ti sarai accorto che ho parlato solo dell’aspetto psicologico del referral, ignorando deliberatamente un argomento:

Le ricompense!

Il motivo?

Non sono la prima cosa di cui ti devi preoccupare.

Vuoi conoscere il modo migliore per motivare un tuo cliente a portarti dei referral? 

Ormai, dovresti esserti reso conto che non si tratta solo di volerlo fare per una qualche forma di ricompensa. 

Ci saranno sicuramente delle eccezioni, ma il vero motivo per cui un tuo cliente ti consiglia agli amici sta nel suo profondo bisogno umano di comunità. 

I tuoi clienti provano puro piacere offrendo aiuto e sapendo di essere riconosciuti come fonte affidabile di consigli e informazioni.

Quando riesci a motivare un tuo cliente, intenzionalmente o meno, sul desiderio di aiutare e contribuire, spesso faranno di tutto per riuscire a farlo. 

D’altra parte, quando la motivazione è solo monetaria, alcuni potrebbero vederla come una mera transazione di mercato a cui si lega una motivazione molto più bassa, che va dall’indifferenza al disgusto, a seconda del settore. 

Nel suo libro Predictably Irrational, Dan Ariely conduce numerosi esperimenti intorno a queste dinamiche sociale. Te lo consiglio.

È vero che il nostro ipotalamo ci porta ad avere una naturale propensione a dare consigli e suggerimenti, ma è anche vero che poche leve sono più potenti di quella generata dall’avidità. Non solo in termini economici, ma anche di prestigio e riconoscimento sociale.

Se un tuo cliente ti porta altri clienti devi SEMPRE ricompensarlo in qualche modo.

Fagli sapere che il suo impegno è apprezzato e dimostrargli la tua riconoscenza. Premialo. 

No, non basta un grazie e una pacca sulla spalla.

E quando dico sempre… vuol dire sempre.

Anche se un tuo cliente ti porta un contatto senza sapere dell’esistenza del tuo programma referral, devi fargli sapere che il suo gesto è stato apprezzato. 

Funziona come quando addestri un cane: ogni volta che fa qualcosa di buono devi dargli un croccantino per associarlo positivamente a quel comportamento e fare in modo che lo replichi ancora e ancora.

Ma qual è la ricompensa migliore?

Uno sconto su acquisti futuri? Una commissione sulla vendita? Una bottiglia di vino? 

Prima di decidere che ricompensa dare, è importante sottolineare una cosa: non esiste una formula di ricompensa “perfetta” e valida per tutti allo stesso modo.

Tra poco ti scriverò alcune linee guida, ma ogni caso è a se e deve essere prima valutato a tavolino e poi testato sul campo. Per questo prima che ci mettiamo a scrivere il copy per la tua campagna referral devi passare per una consulenza con me e Marco.

Comunque questi sono alcuni punti chiave che ti possono aiutare a capire il tipo di ricompensa da dare ai tuoi clienti:

1) Se il tuo business model prevede che acquisti ricorsivi, regala uno sconto, un mese di memebrship gratuita o inserisci un prodotto omaggio sugli ordini futuri.

Il ragionamento è semplice: in questo modo ti assicuri che il tuo cliente continuerà a comprare da te e sarà ancora più incentivato a farlo per riscattare il bonus che ha accumulato.

Mirco e Manuel di Shampora, per esempio, hanno creato la loro strategia di referral seguendo questa direzione.

In media le loro clienti fanno un ordine nuovo ogni 45 giorni, anche perché una volta che hanno provato i loro fantastici prodotti è dura farne a meno.

Quello che fanno è premiare chi porta un’amica con uno sconto di 4€ sul prossimo ordine. E visto che il bonus è cumulabile, ci sono ragazze che arrivano ad avere i prodotti gratis. 

Se concedere sconti ti fa venire il prurito, considerali piuttosto per quello che sono: un costo di acquisizione clienti. Ma con la certezza che dovrai pagarlo solo a cliente acquisito.

2) Se quello che vendi è un qualcosa che i tuoi clienti comprano solo una volta ogni tanto (un materasso, un software, ecc.) dargli sconti su acquisti futuri potrebbe infastidirli. 

Ha più senso ringraziarli con un altro tipo di ricompensa che possono sfruttare subito: soldi, una cena pagata, un soggiorno in una spa, un regalo fisico.

È quello che facciamo qui in Propagando, dove investiamo tantissimo nel programma referral.

Il mese scorso sono stato felice di bonificare 2350,00€ ad un cliente che ci ha segnalato ad un suo conoscente, facendoci chiudere un grosso contatto.

Ma il mio non è un caso isolato.

Il programma di referral di Tesla negli Stati Uniti offre sia sostenitori e agli amici $1,000 di credito per ogni referral. Può sembrare molto, ma come Elon Musk ha sottolineato che un Tesla costa tra $70.000 e $150.000. 

Leggilo qui cliccando sulla voce “programma referral precedente”.

Il programma referral di Tesla

Il vero premio arriva quando sblocchi un livello superiore: cinque referral portati significano un invito al Gigafactory per una festa, mentre dieci referral ti fanno sbloccare come nei videogiochi la possibilità di comprare un esclusivo modello X “Founder Series” in edizione limitata.

L’esempio di Tesla mi permette di introdurre due concetti fondamentali del referral marekting:

I campioni e la reciprocità

Col tempo ti accorgerai che una quantità sproporzionata dei referral che entrano in azienda proviene da una manciata di clienti davvero entusiasti di aver avuto a che fare con te e non perdono occasione per parlare bene della tua azienda.

Sono quelli che potresti considerare come i tuoi campioni.

Da bravo allenatore ricordati sempre di avere un occhio di riguardo per i tuoi pupilli. Premia tutti i giocatori, ma valorizza soprattutto i campioni.

I campioni sono quei clienti particolarmente attivi nel supportare della tua attività perché non solo hanno apprezzato il modo in cui li hai serviti, ma sono anche evidentemente portati a fare referral. 

Prenditi molta cura dei tuoi campioni, perché sono responsabili di una bella fetta del tuo fatturato.

Per la mia esperienza, questo tipo di persone non è solo alla ricerca di premi tangibili, ma anche di approvazione.

Crea per loro delle strategie personalizzate per dimostrare il tuo  apprezzamento e falli sentire coinvolti e parte dell’azienda in qualche modo. 

Questo tipo di ricompense non sono devono essere previste dal normale programma referral perché non devono essere alla portata di tutti.

Sono un premio in più. Una specie di bonus produzione per i risultati raggiunti.

  • Mandagli fiori, biglietti per concerti o spettacoli, soggiorni per il weekend, ingressi spa, prodotti alimentari di pregio purché sempre accompagnati da un bigliettino scritto a mano.
  • Includili in brainstorming e iniziative di ricerca per farli sentire parte attiva della crescita della tua azienda.
  • Crea eventi e incontri esclusivi di prestigio dove possono incontrare altri tuoi sostenitori.
  • Presentali ai tuoi partner strategici o fagli conoscere i tuoi fornitori.
  • Invitali a eventi con relatori e autori che potrebbero interessargli.
  • Chiedi le loro opinioni su questioni commerciali.
  • Includi le loro testimonianze o i loro casi studio nei tuoi materiali di marketing o falli comparire sulla copertina del tuo magazine. 
  • Lascia che testino in anteprima i tuoi nuovi prodotti e servizi.
  • Offrigli la possibilità di provare altri tuoi servizi a costi bassissimi.

Nutri e prenditi cura dei tuoi campioni come se fossero il tuo asset più prezioso o potrebbero rivolgere la loro attenzione e influenza verso altri lidi dove verrebbero più apprezzati.

Ritornando al programma referral di Tesla, l’ultimo punto di questo articolo sul referral marketing che voglio toccare riguarda la reciprocità.

Un programma referral deve SEMPRE essere a due vie.

Deve esserci un vantaggio per il tuo cliente che porta un amico e un vantaggio per il suo amico nel fare il primo acquisto.

Per questo ogni strategia referral che creiamo per i nostri clienti, che sia online o su carta, e sempre formata da due campagne: la prima per arruolare i tuoi clienti come segnalatori e la seconda per convertire i loro amici e conoscenti in clienti paganti.

La Referral Box di Protezione Imprenditori

Non sto parlando di creare solo un contenuto una tantum, ma vere e proprie marketing machine, programmate per generare referral.

Una sales letter o una cartolina da referral può avere come obbiettivo cercare un contatto diretto, ma se vendi direttamente online può risultare più intelligente rimandare i nuovi arrivati ad una landing page dove possono riscattare un buono o scaricare un materiale gratuito lasciando la loro mail o i loro dati.

Una volta acquisita la mail, puoi inserire il contatto nella tua marketing machine e “frullarlo” finché non è pronto a comprare.

La raccomandazione di un amico è utile per abbassare il livello di diffidenza nei tuoi confronti, ma non tutti sono pronti a comprare subito.

Dopo il primo contatto devi assolutamente prevedere un follow up per dargli modo di approfondire la tua conoscenza.

Arrivati a questo punto, la questione che rimane irrisolta è

Cosa deve esserci scritto nei materiali di marketing che devo dare al mio cliente per far sì che mi porti un mare di referral?

Non voglio fare teasing o tirarmela, ma in questo preciso momento conosco esattamente 51 approcci diversi (no, non è un numero a caso) per creare materiali per il referral a seconda del settore in cui operi, del budget che hai a disposizione e del tuo tipo di business model.

Dato che quando Dio ha fornito il dono della sintesi io ero in fila al sushi, questo articolo finirebbe per superare le 15mila parole e tanto varrebbe scriverci su un libro.

(Cosa che non è detto che prima o poi non faccia)

Quindi, per tagliare la testa al toro, facciamo una cosa: se dopo aver letto questo articolo ti si è accesa la lampadina e vuoi mettere su una campagna referral fatta come copy comanda c’è una sola cosa da fare.

Clicca qui, compila il form contatti e fissa il primo appuntamento gratuito e senza impegno con me e Marco. 

Da lì usciranno le vere magie! Promesso.