Vuoi sfidare competitor e grandi marchi? Google ti svela i 3 punti per riuscirci

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Yin e yang, luce e buio, ragione ed emozione.

L’elenco che alimenta la dualità che pare costellare ogni aspetto delle nostre vite potrebbe andare avanti a oltranza.

A noi, in particolare, interessa il duetto ragione ed emozione, su cui scorrono fiumi di metafore che si propongono di aiutarci a capire come queste interagiscono quando prendiamo decisioni.

Una metafora particolarmente calzante è quella di Jonathan Haidt, psicologo e professore di leadership etica alla New York University, che paragona il rapporto emozione-ragione a quello tra un elefante e il suo fantino. 

Il fantino è quello con le redini in mano. Così sembra per lo meno ed è il minimo che ci si aspetta da una persona che di professione cavalca animali.

Possiamo dedurre che teoricamente è lui il responsabile della direzione che entrambi prendono. 

Il prof Haidt precisa però che questo vale finché un qualsiasi stimolo cattura l’attenzione dell’elefante e questo inizia a dimenarsi ignorando i comandi del fantino.

A discapito di apparenze, speranze e aspettative, il fantino non comanda più un bel niente.

Se il gigante schiamazza e si dimena, qualunque sia il segnale trasmesso dalle redini è solo un flebile squittio. 

L’elefante è impegnato nel soddisfare uno dei suoi bisogni primari innescati all’improvviso. Quali, il fantino non ne ha la minima idea… e probabilmente neanche l’elefante!

Nello studio Decoding Decisions. Making sense of the messy middle condotto da Google, i ricercatori riprendono questa metafora e pongono l’attenzione sul fatto che se li potessimo intervistare, non avrebbero difficoltà a dire dove stavano andando e dove sono effettivamente arrivati.

… Mentre sul come e perché, la faccenda si complica! 

Sarebbero infatti capaci di ipotizzare congetture e interventi logici per razionalizzare a posteriori cosa diamine è successo.

Come magari avrai già intuito, questa introduzione zoologica serve per dire che il fantino è la parte razionale del nostro cervello e l’elefante rappresenta invece le emozioni.

La scena descritta è infatti la stessa che interessa un potenziale cliente: saprebbe dirti senza difficoltà cosa voleva comprare e cosa ha comprato.

… Tutt’altro discorso è capire come e perché è approdato a quella decisione!

Molti scienziati e ricercatori si sono prodigati a svelare quale sia il meccanismo che spesso porta l’emozione a stravolgere la ragione. 

Una delle ricerche che si propone questo mastodontico obiettivo è proprio quella che ho citato poco fa, condotta dal Team di Google insieme a The Behavioural Architects.

In questo studio si annida una splendida notizia per tutte quelle aziende che hanno le carte per competere nel mercato di oggi, che però non contano con il nome, il budget e la storicità di altri brand che la fanno da padrone.

La vediamo subito!

Il potere di far capolino nel mercato

Il primo passo per portar via un fetta di preferenze a un marchio concorrente è essere presente nel momento in cui i tuoi potenziali clienti stanno cercando di prendere una decisione.

Potrebbe sembrare ovvio, ma è la base delle basi e sia mai che non gli diamo l’importanza che merita.

Fare capolino nel mercato, soprattutto nei tempi e modi giusti, può portarti più assi nella manica di quanto si possa sperare. 

Il Team di ricercatori Google, ha proprio iniziato una simulazione raccogliendo i dati del confronto tra marchi di prima e seconda scelta.

Il risultato dei confronti è che anche se la prima scelta era stata dichiarata, nel momento in cui all’acquirente veniva data la possibilità di scegliere anche un altro marchio, seppur come seconda scelta (senza aggiungere particolari bias nel marketing e nella comunicazione), per il solo fatto che ci fosse qualcun altro tra cui scegliere, una fetta di consumatori ha avuto un ripensamento

Quanto consistente sia la fetta, puoi vederlo in giallo, con percentuali diverse in base alle categorie.

In altre parole, per il solo fatto di “fare cucù”, qualche quota di mercato alle prime scelte, la riesci a strappare. 

… E tutto ciò senza neanche ancora scomodare il potere del neurocopywritng e delle scienze comportamentali!

Tirando le somme della ricerca in questione, sono sostanzialmente 3 i punti che un’azienda deve applicare per assicurarsi e mantenere quote di mercato.

Li avevamo già accennati in questo articolo, ma è cosa buona e giusta approfondirli. 

1) Sii presente: anche un brand sconosciuto può giocarsela e cambiare le preferenze di un consumatore

Ho specificato brand “sconosciuto” perché in questo caso non sto parlando delle seconde scelte tra leader di mercato tipo Pepsi e Coca Cola o Samsung e Apple. 

Nelle simulazioni d’acquisto dello studio che ho citato sono stati usati brand noti, meno noti e persino brand inventati

La presenza può essere tutto ciò che serve per spostare le preferenze.

Garantire la tua presenza vuol dire far sì che il tuo prodotto o servizio sia strategicamente in primo piano mentre i tuoi clienti esplorano.

In parole povere, nessuna delle strategie comunicative è possibile se prima non ti presenti e non rivendichi in qualche modo l’attenzione del consumatore. 

Esserci è una posta in gioco per qualsiasi marchio che spera di emergere trionfante dal labirintico processo decisionale delle persone.

Garantire la presenza del marchio crea (o mantiene, nel caso di clienti abituali) un’ordinata e chiara disponibilità mentale per i tuoi prodotti e servizi… che altrimenti verrebbero imboscati in meandri sconosciuti del mercato, cedendo spazio di grande valore alla concorrenza.

Bene, chiarito questo, una volta fatto il tuo ingresso scenico, quanto grossa sia la fetta di consumatori che riesci a portare a casa, lo determina l’uso della psicologia comportamentale.

C’è poco da rimuginare e da essere romantici: i pregiudizi cognitivi, i nostri amati bias, hanno esattamente l’effetto che la teoria della scienza comportamentale prevede.

È per questi motivi che i mallopponi da studiare per scrivere in modo efficace il tuo materiale di marketing, non sono i libri di copy e vendita, bensì quelli di psicologia e neuroscienze.

Quante start up sono sbucate dal nulla per poi riuscire a conquistare una quota di mercato sostanziale?

Tante. 

Ogni grande azienda di oggi ha avuto il suo primo giorno in cui ha alzato la saracinesca.

… E tutte hanno fatto ampio uso della scienza comportamentale per aumentare l’impatto del loro ingresso nel mercato. 

I pregiudizi cognitivi moltiplicano all’ennesima potenza la riuscita del copy della tua azienda, tanto da portare un brand inesistente a vincere nella lotta tra le preferenze rispetto a un marchio ben solido nella mente del consumatore.  

Se ti risulta difficile da credere e vuoi vedere degli esempi concreti di come le preferenze si ribaltano in base all’uso o meno dei bias, li trovi in questo articolo.

2) Colma il divario tra trigger e acquisto: riduci l’esposizione ai marchi concorrenti

Una volta che ti sei presentato e un consumatore sta facendo le sue valutazioni, sarà tua premura accompagnarlo con una certa nonchalance, e quanto più velocemente possibile, verso l’acquisto.

La prima ragione è davvero elementare: meno tempo passa tra il trigger e il momento d’acquisto, minore sarà il tempo che i tuoi clienti esistenti e potenziali trascorrono esposti ai marchi concorrenti.

Puoi velocizzare il processo innanzitutto agevolando il loro percorso decisionale.

Sempre secondo i ricercatori del Team Google, i consumatori favoriscono istintivamente quei marchi che consentono l’esplorazione e li aiutano a dare un senso al soqquadro neuronale di chi è alle prese con una decisione.

È per questo che non devi sottovalutare l’importanza di fornire un’esperienza eccezionale che renda l’esplorazione delle tue offerte il più semplice possibile.

Presenta tutte le informazioni rilevanti di cui i potenziali clienti hanno bisogno per passare rapidamente alla valutazione e poi all’acquisto.

È per esempio l’opposto di ciò che fanno alcuni privati che affittano casa con annunci senza foto e con descrizione tipo:

“Affittasi appartamento, quarto piano con ascensore, 3 stanze due bagni, 1.200 €, no fumatori.

Per ulteriori info contattare.”

Ma che seccatura! 

Ti devo scrivere per chiederti in che zona esatta si trova la casa, per sapere se animali domestici sono ammessi, se la cucina è abitabile, se c’è un terrazzo, qual è la classe energetica e se le utenze sono incluse ecc. E poi magari ti scrocco due foto, la casa neanche mi piace e ho preparato l’intervista scritta per niente.

Dubito che qualcuno sia invogliato a esplorare case in questo modo.

Per i tuoi potenziali clienti vale lo stesso: semplifica l’esplorazione dei tuoi servizi e prodotti, permettigli facilmente di conoscerti.

Rendigli la vita più semplice, non riempirla di sfide e ostacoli innecessari.

Qualsiasi lacuna nel tuo piano marketing potrebbe vederti bloccato fuori dal giro mentre i consumatori iniziano a esplorare le loro opzioni.

Soprattutto perché i marchi lì fuori sanno come aiutare i consumatori a navigare e semplificare il processo decisionale… E chi sa farlo è spesso ampiamente ricompensato.

Mentre i consumatori esplorano e valutano la tua proposta, il carico cognitivo a cui sono sottoposti fa sì che il cervello del consumatore si stanchi come si stanca un corpo umano a lavorare in miniera.

L’obiettivo finale del tuo approccio è allentare questo carico.

In breve, una volta che il grilletto del “mi serve questa cosa” è stato premuto (il trigger), l’obiettivo è quello di organizzare tutte le tue risorse per garantire che il tuo copy non ti porti a tirarti la zappa sui piedi da solo.

Per tirarsi la zappa sui piedi mi riferisco a creare una comunicazione poco chiara, non tarata sui bisogni reali del cliente, eccessivamente tecnica, fuori luogo, confusionaria, superficiale, gonfiata, improvvisata.

Più che fungere da filo di Arianna per guidare il consumatore verso l’uscita del labirinto decisionale, un copy del genere lo condanna a infognarcisi dentro sempre di più. 

… E nessuno ti ringrazierà per questo, se non i tuoi competitor che apprezzano la tua auto squalifica.

Il discorso vale anche per chi è già tuo cliente che, contando sulla familiarità verso il tuo brand, si aspetta una certa agilità a ripetere l’acquisto.

Dopotutto, non tutti i clienti hanno bisogno di esplorare e valutare nuovi marchi. Se qualcuno ha già acquistato da te ed è rimasto soddisfatto dell’esperienza, è probabile che si rivolga nuovamente a te per rispondere alla stessa esigenza. 

È il motivo per cui l’ottica online da cui compravo le lenti a contatto, ogni 3 mesi mi inviava una mail con il riepilogo del mio precedente acquisto ricordandomi che stavo per finire la scorta. Tutto quello che dovevo fare era cliccare su un link e il mio precedente ordine era di nuovo pronto. 

La mia (lunga ed estenuante) ricerca delle lenti preferite e prodotti connessi l’avevo già fatta ai primi storici acquisti e mi ero trovata bene sia con i prodotti che con l’azienda. 

Per quale motivo avrei dovuto rifare ogni volta le ricerche daccapo, selezionare i prodotti, metterli nel carrello, inserire i dati per pagare… se potevo fare tutto questo nel tempo di un click?

Insomma, se non metti ostacoli sulla strada del tuo cliente, tipo che non fai spedizioni nell’isola in cui si è trasferito (riferimento puramente casuale…), ci sono buone probabilità che effettui un acquisto ripetuto.

3) Usa in modo intelligente la scienza comportamentale

Nel suo libro del 2019 Alchemy, Rory Sutherland fa riferimento a una teoria attribuita a Joel Raphaelson, ex dirigente pubblicitario di Ogilvy & Mather. 

 “Le persone non scelgono il marchio A rispetto al marchio B perché pensano che il marchio A sia migliore, ma perché sono più sicuri che sia buono.”

Percepire la differenza non è così semplice, eppure c’è eccome, anche se sottile.

I consumatori cercano rassicurazioni per rafforzare le loro eventuali decisioni di acquisto durante la fase di valutazione, durante l’acquisto e anche dopo.

I marchi che riescono a fornire una forte rassicurazione sulla bontà del loro prodotto e servizio sono quelli che hanno migliori possibilità di non vedere affezionati clienti andar via perché un altro marchio li ha rassicurati meglio.

Le simulazioni della ricerca di cui ho parlato durante tutto l’articolo hanno rivelato che alcuni bias sono così potenti che ogni marchio dovrebbe essere consapevole dell’influenza che questi esercitano, se non altro per essere in grado di difendersi dai concorrenti, sfruttandoli.

Per i marchi meno affermati, gli esperimenti di acquisto messi in piedi da The Behavioural Architects dimostrano che il disordine del processo decisionale offre una ricca prospettiva per chi è in grado di impostare una comunicazione realmente efficace con il suo pubblico. 

I consumatori sono infatti disposti a esplorare e valutare alternative:

anche marchi completamente nuovi hanno la possibilità di cambiare mentalità, interrompere preferenze consolidate e acquisire nuovi clienti.

L’impatto di pregiudizi cognitivi come la riprova sociale, garanzie, l’importanza della visibilità nei momenti chiave, possono aiutare a livellare il campo di gioco anche contro i marchi affermati.

Quindi, sia che tu stia cercando di mantenere lo status di “preferito” di un marchio ben solido, sia che tu stia cercando di introdurne uno nuovo sul mercato, devi presentarti e implementare i pregiudizi comportamentali più rilevanti per la tua categoria.

Ho detto “rilevanti” perché ovviamente i bias non si pescano a caso dal mucchio e si buttano sul tavolo tipo le carte di una partita di burraco tra giocatori che non conoscono le regole del gioco.

I tuoi messaggi devono essere su misura per le esigenze dei consumatori

Una migliore comprensione dei pregiudizi cognitivi che sono alla base del processo decisionale può aiutare a creare una proposta convincente che faccia appello al cliente a livello istintivo.

E qui entriamo in gioco noi con due buone notizie.

La prima buona notizia è che la psicologia comportamentale applicata, ribalta i risultati sia per i marchi affermati che per chi i grandi marchi li sfida.

In altre parole, il Team di Google ti consiglia caldamente di creare il tuo copy secondo le neuroscienze, la psicologia comportamentale e una vasta conoscenza del sistema decisionale del consumatore.

La seconda buona notizia è che esattamente quello che facciamo noi per i nostri clienti.

Se vuoi sapere come lavorare insieme, non ti serve altro che cliccare QUI.