Scott Starrett aveva una voglia matta di tacos.
Il trentaduenne di Austin, si era da poco trasferito a New York dal Texas e gli mancava il cibo di casa.
Così, quando un piccolo negozietto di Tacos chiamato Flats Fix aveva aperto proprio dietro l’angolo del suo ufficio a Manhattan, ne era diventato subito un cliente abituale, assieme ai colleghi dello studio di grafica in cui lavorava.
Era il 2016 e le conversazioni a pranzo in quel periodo finivano sempre per cadere sul dibattito per la corsa alla Presidenza.
Una simpatica barista Portoricana che lavorava nel locale si univa spesso alla discussione.
Si chiamava Sandy.
Secondo Scott “Tutti adoravano Sandy. Aveva una gentilezza che univa tutti e una presenza contagiosa.”
La barista ventiseienne, originaria del Bronx, era stata una volontaria per la campagna del senatore Bernie Sanders.
Scott invece lavorava nel marketing e aveva contribuito a far eleggere alcuni candidati in Texas.
A tavola ognuno condivideva le rispettive esperienze e i rispettivi punti di vista su cosa si sarebbe e non si sarebbe dovuto fare per il Paese.
Ad ogni pranzo le discussioni si facevano sempre più accese.
Sandy aveva le idee molto chiare su quello che serviva davvero al suo quartiere. E non erano le solite promesse dei politici di Washington.
Si lanciava nei dibatti da dietro al bancone del bar con la ferocia di una leonessa.
Non era mica una che le mandava a dire o che stava zitta per paura di infastidire il prossimo.
L’argomento che la faceva più infervorare riguardava lo stabilire chi fosse il candidato migliore tra Bernie Sanders e Hilary Clinton per le primarie del partito democratico.
Sandy era una convinta sostenitrice di Bernie che, nel sistema bipartitico americano, era quando di più a sinistra si potesse trovare.
E poi…
Poi a sorpresa fu eletto Donald Trump!
Praticamente l’anticristo dei democratici.
Le appassionanti discussioni di politica a pranzo finirono e si tornò a parlare di quanto i Knicks avrebbero fatto pena anche quell’anno.
(ndr. Molta pena)
Ma Sandy era una tosta.
Non riusciva proprio ad accettare la visione politica nazionalista del nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Qualche mese più tardi comincia a ronzarle in testa un pensiero fisso: combattere Trump dall’interno.
Questo volevo dire candidarsi per un seggio alla Camera da cui far sentire la sua voce.
Più facile a dirsi che a farsi…
Incoraggiata dal gruppo di Bernie Sanders per cui aveva lavorato come volontaria, Sandy decide di sfidare nientepopodimeno che Joseph Crowley, parlamentare del Quattordicesimo Distretto, per accedere al Congresso.
Ora, se non sei esperto di politica americana (come nemmeno credo di esserlo io), cerco di farti capire chi fosse questo pezzo da novanta con cui Sandy si trovava a dover competere.
Nel 2018 Joe Crowley era considerato il numero 4 del Partito Democratico.
Era stato eletto alla Camera dei Rappresentanti del Campidoglio per la prima volta nel 1998 e, da allora, era sempre stato riconfermato.
Era un vero e proprio mostro sacro tra le file dei democratici.
Secondo gli esperti, dall’anno successivo avrebbe sicuramente ricoperto il ruolo di Speaker della Camera, la terza carica più importante dello Stato.
Come Hillary Clinton, faceva parte del centro del Partito Democratico, mentre l’orientamento di Sandy si collocava verso l’ala sinistra del partito, dichiarandosi socialista democratica.
Nei 18 anni precedenti, nessuno sfidante aveva mai avuto le “palle” di contendere a Crowley la candidatura, sfidandolo nelle primarie.
Troppo forte. Troppo inattaccabile.
Di fatto Sandy aveva le stesse chance di vittoria che avrebbe oggi San Marino se dichiarasse guerra… che so, alla Russia o alla Cina!
Tanto per rendere la sua vittoria ancora più complicata, la giovane barista del Bronx aveva deciso di rifiutare i contributi di grosse aziende per non essere costretta ad avere “debiti morali” con nessuno in futuro.
Riceveva la stragrande maggioranza dei suoi fondi da piccoli sostenitori che contribuivano come potevano alla campagna con piccole somme.
Alla fine della campagna Sandy era riuscita a raccogliere appena 194mila dollari di donazioni.
Il suo avversario, Joe Crowley, per la sua ne aveva spesi la bellezza di 3 milioni e mezzo.
Quasi 18 volte tanto.
Con questi presupposti era praticamente impossibile pronosticare una vittoria per la giovane barista.
Come poteva una ventenne Portoricana, nata nel quartiere più difficile di New York, senza nessun “potere forte” alle spalle, averla vinta su uno dei più forti deputati del Paese?
Questa non è la classica favoletta a lieto fine in cui alla fine vincono sempre i deboli.
Qui parliamo di vita vera e i miracoli non sono all’ordine del giorno.
Ma, quando si tratta di vendite, consensi, clienti ed elettori, dove non arrivano i miracoli può arrivare il potere del copy.
E Scott Starret lo sapeva bene quando iniziò a lavorare al marketing della campagna di Sandy.
Se sei un piccolo imprenditore che muore dalla voglia di fare il culo ai big del suo settore e vuoi tentare la scalata ai, ti regalo una regola aurea che devi incidere col taglierino sulla tua scrivania come facevi quando andavi a scuola.
Quando dai battaglia ai “mostri sacri” del tuo settore – aziende che dispongono di migliaia e miglia di euro da investire in pubblicità e visibilità – non puoi sperare di batterli combattendo ad armi pari.
Armi pari = un kaput garantito
Se cerchi di copiare le stesse strategie dei tuoi competitor e il loro stesso modo di fare marketing, tutto votato alla ricerca di visibilità, non ci vorrà molto a capire che il vincitore alla fine sarà solo quello che sarà riuscito a spendere più soldi.
Esistono un miliardo e mezzo di motivi validi per cui andare dalla uèb àggensi di turno dicendogli “fammi il marchetìn come Eppol” è profondamente e drammaticamente sbagliato.
Fare quello che fanno le grosse multinazionali è la ricetta perfetta per farsi fare un culo a stelle e strisce.
Ma un copy ben studiato è in grado di battere il mito della visibilità 10 a 0, palla al centro e avversari umiliati.
È proprio quello che è successo a Sandy, meglio conosciuta come Alexandria Ocasio-Cortez che, diciotto mesi dopo aver pensato di candidarsi, è diventata la donna più giovane ad essere stata mai eletta al Congresso degli Stati Uniti.
Eh già! È ovvio che ti sto raccontando questa storia perché, alla fine, la piccola barista del Bronx è riuscita a sconfiggere il suo ben più quotato avversario.
E il merito è tutto del copy!
Aspetta, forse ho esagerato un po’…
Ok, diciamo che una parte del merito è anche del copy.
Lo spiega lei stessa in questo video, estratto dal documentario “Knock Down to the House”.
La vedi la differenza?
Il più quotato e potente Joe, nei suoi volantini si è limitato a dire “ehi, sono sempre io. Votami. Voglio assediare la poltrona di Trump a Washington”.
Motivazioni per cui farlo?
Zero…
Interesse suscitato nel cittadino medio del Queens o del Bronx, due dei quartieri più poveri e difficili di New York?
Zero…
Livello di coinvolgimento emotivo dei suoi elettori?
Zero…
Livello di coinvolgimento razionale dei suoi elettori?
Zero…
Puoi anche spendere 10 milioni di $ in volantini e infilarne uno in ogni singola buca delle lettere che trovi in giro, ma se non stimoli alcun tipo di interesse, se non sfrutti il potere dei bias e soprattutto se incentri tutto il messaggio di vendita su di te e non quello che puoi fare per il tuo lettore… hai speso 10 milioni di $ in carta straccia.
Questo esempio vale per un’elezione, ma vale ancora di più per il tuo copy che metti sotto gli occhi dei tuoi clienti.
I materiali di marketing che mandi in giro si limitano a dire “eccomi, esisto” o riescono a infilarsi nel cervello dei tuoi potenziali clienti fino a deviare le loro decisioni a tuo favore?
L’errore di copy nella campagna di Joe Crowley è stato tanto banale, quanto letale.
Non si è preoccupato di far sapere “cosa poteva fare di diverso per migliorare le vite dei suoi elettori”.
Tutta la comunicazione era incentrata su di lui.
Votatemi, cosicché IO possa andare a Campidoglio a combattere contro Trump e sempre IO possa lottare alla fine del suo mandato per potermi un giorno sedere IO nello Studio Ovale.
Devi capire un punto cruciale.
A tutti noi piacerebbe poter andarcene in giro con le mostrine sul petto ben in evidenza.
In quanto imprenditori abbiamo questo istinto naturale di voler emergere, primeggiare e farci notare. Ci piace essere presi a modello. Essere citati. Menzionati. Ammirati. Invidiati.
Il fatturato ok. I guadagni ok. Ma è soprattutto lo stile di vita e il successo che vorremmo esibire a farci gola.
Siamo imprenditori. Ed è normale se, in un modo o nell’altro, ci sentiamo come delle prime donne.
Dopotutto, questo sgangherato Paese riesce e stare a galla solo grazie a noi…
Ma ecco la fregatura in cui devi stare attendo a non impantanarti.
Il tuo copy NON deve mai essere arrogante, autocelebrativo o incentrato tutto solo su di te o sulla tua azienda
Quando spieghi “chi sei”, non puoi limitarti a dire “Sono Mario Biondi, fondatore della Sticazzi Srl, leader di settore nella vendita di esche per merluzzi”.
Lo so che può sembrare la sagra della banalità, ma se vuoi che il tuo lettore resti agganciato al tuo copy fino alla fine, devi concentrarti su di lui.
Cosa puoi fare TU per LUI?
E come puoi farlo meglio/ più velocemente / in modo più sicuro / più facilmente / in modo più comodo di tutti gli altri?
Sono queste le domande a cui devi rispondere, perché sono queste le risposte che fanno presa sulla mente del tuo lettore.
Alexandria Ocasio-Cortez ci è riuscita e ha vinto la sua campagna al primo tentativo.
Più facile a dirsi che a farsi?
Forse sì!
Ecco perché, invece che scervellarti per ore e ore su cosa scrivere e come farlo, dovresti mettere tutto nelle mani di professionisti che sanno quello che fanno e riescono ad avere un approccio più analitico al copy.
Ogni bravo imprenditore, che tiene al suo lavoro, ai suoi collaboratori e ai suoi dipendenti è quasi sempre troppo coinvolto emotivamente e personalmente nel proprio lavoro per poter scrivere un pezzo efficace e non filtrato dall’ego.
Per questo ci siamo noi.
Io, Marco e tutto il nostro team di neurocopywriter siamo a tua disposizione per scrivere tutti i materiali di cui sai (o non sai ancora) di aver bisogno per il successo del tuo marketing e delle tue conversioni.
Tutto quello che uscirà dalle nostre penne e dalle nostre tastiere avrà un unico scopo: darti tre giri e mezzo di vantaggio nella corsa elettorale al sistema decisionale dei tuoi clienti.
Il budget che investi in una campagna passa sempre in secondo piano di fronte ad un testo che ti entra nella mente e converte come copy comanda.
Non vorrai mica fare la fine di Crowley e spendere milioni (nel tuo caso migliaia) di euro per poi farti soffiare i clienti dall’ultimo arrivato solo perché lui ha deciso di affidarsi a noi prima di te, vero?
No? Lo immaginavo…
Quindi te la faccio easy: vuoi lavorare con noi e scoprire cosa possiamo fare per te?
Clicca qui e tanti saluti al problema “eh ma il mio copy non vende”.