“Non sempre sono del mio parere”: come il conformismo ti porta clienti… e te li toglie

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Più volte abbiamo raccontato perché abbiamo scelto come nome Propagando e non qualcosa che richiamasse direttamente i termini “scrittura”, “copy“ e “neurocopy”.

Ci sono persone ed esperti che conoscono i meccanismi decisionali delle persone, ma non tutti sanno come intervenire all’interno di questi sistemi per indirizzarli verso una direzione specifica.

Chi fa parte della seconda categoria, cioè chi fa il salto dalla teoria alla messa in pratica, si ritrova in mano il potere potenziale di pilotare il comportamento non di un singolo, neanche di un piccolo gruppetto, ma di intere masse (se è questo il suo obiettivo).

Se quest’arte viene messa in pratica nel mondo politico, prende il nome, appunto, di propaganda: 

L’abilità di infiltrarsi nei meccanismi decisionali delle persone sfruttando i bias e altri principi psicologici per indurre un preciso comportamento.

I bias sono gli errori cognitivi che rendono la vita più semplice al nostro cervello che lavora un full-time di 24 ore giornaliere, 365 giorni all’anno, senza ferie e rimborsi spesa.

Anche quando compiamo un gesto semplice come versarci dell’acqua in un bicchiere, il nostro cervello deve prendere una serie di decisioni (come inclino la mano, a che velocità, dove posiziono la bottiglia ecc.). 

Per non uscire scemo si appoggia alle scorciatoie create dal nostro cervello che a livello evolutivo ha compiuto la stessa scelta in passato, miliardi di volte.

Mentre in questo caso, la decisione della nostra mente di ottimizzare le sue energie ci aiuta, ce ne sono molti altri in cui può trasformarsi in un disastro. 

Possiamo arrivare prendere decisioni che al nostro cervello risultano efficienti e sensate a livello energetico e logico, ma facendo un’accurata e attenta analisi capiamo che siamo rimasti vittima di una logica falsata. 

Per dirla in modo più elegante… facciamo scelte del c***o e neanche sappiamo il perché.

Sono tantissimi i bias che permettono di pilotare il ragionamento anche di una persona dotata di grande intelligenza e raziocinio. Per questo sono strumenti potenti e allo stesso tempo pericolosi quando vengono utilizzati per scopi poco “nobili”, tanto nella vita come nel marketing.

Non lo dico io, ma un fior fiore di medici, psicologi, economisti e ricercatori spalleggiati da una letteratura scientifica che mette a nudo la semplicità e – allo stesso tempo – la complessità del nostro cervello.

In questo articolo voglio analizzare il potere di un particolare bias che ha permesso in passato (e permette ancor oggi) a più di qualche leader di farsi acclamare dalle folle.

Un bias che, se inserito a dovere nella costruzione dei tuoi materiali marketing, ti aiuterà a ricreare un effetto di consenso tra i tuoi potenziali clienti ai livelli di un vero e proprio plebiscito.

Effetto Asch: vedo male io o sono ciechi tutti gli altri?

Facciamo un gioco. 

No, non voglio chiudere nessuno in una stanza con manette e motosega. 

Una delle linee del riquadro di destra (a, b, c) è identica alla linea del riquadro a sinistra (x).

Negli anni ‘50, il dottor Asch aveva condotto una serie di test per studiare quanto le persone siano influenzate dai pensieri e dai comportamenti degli altri.

Raduna delle persone e le divide: in ogni gruppo di partecipanti ce n’era solo uno davvero soggetto al test di “percezione visiva”. 

Tutti gli altri sono complici dello psicologo e puntualmente danno la (stessa) risposta sbagliata.

Ora, la risposta giusta è palese a tutti (è la “c”, tanto per essere sicuri).

Ma ecco che facendo rispondere una manciata di persone prima del turno della cavia, succedono cose meravigliose.

Il 76% dei partecipanti ha adeguato la propria risposta a quella del gruppo, indicando la linea sbagliata.

  • Alcuni soggetti negano l’evidenza di fronte ai loro occhi e si conformano al resto del gruppo. 

Pensano qualcosa del tipo: 

“Devono avere ragione loro, sono 4 e io sono 1”

Chi rientra in questo caso, pensa davvero di avere un difetto di percezione visiva e che il gruppo abbia ragione.

  • Altri soggetti al primo giro danno la risposta corretta, ma la cambiano alle slide successive. 

Sanno che gli altri sono in errore, ma vogliono evitare il disagio di essere in aperto disaccordo con la maggioranza

Anche se per motivi diversi, i vari soggetti modellano la loro opinione sulla base del verdetto di chi ha parlato prima.

Il Bias di Conformità (Conformity Bias) è all’opera: il comportamento di una persona cambia per andare d’accordo col gruppo, per sentirsene parte. 

Anche quando non è d’accordo.

L’effetto Asch è una perfetta rappresentazione del potere della maggioranza di plasmare l’opinione del singolo.

Non si tratta di certo di un piccolo dettaglio da ignorare quando devi mettere in piedi la comunicazione tra la tua azienda e il tuo pubblico.

A meno che non pensi che il tuo potenziale cliente sia così diverso dalle persone che avevano partecipato agli esperimenti di oltre 50 anni fa…

Beh, di fatti oggi è un esperimento ampiamente noto e se venisse ripetuto in contesti camuffati da vita quotidiana, magari nessuno ci cascherebbe. 

… O sì?

Il Conformity Bias nella vita quotidiana

Casualità ha voluto che mi capitasse tra le mani un video a riguardo! 

Il video incriminato vede protagonista una paziente nella sala d’attesa di un oculista, e non nego che mi ha lasciata con espressione da stoccafisso davanti allo schermo del PC.

Nella suddetta sala ci sono quasi una decina di attori e lei.

A un certo punto si sente una sorta di campana e, come ipnotizzati, tutti si alzano sul posto e poi si risiedono. 

Esattamente come si faceva alle superiori ai miei tempi quando in classe entrava il prof. 

Per inciso, non è che “i miei tempi” siano chissà quanti anni addietro eh, semplicemente dubito che negli anni della scuola in pigiama (2020/ 2021) si mantenga cotanta formalità.

Tornando a noi, la paziente – la prima volta che sente il “dong” – resta seduta con aria interrogativa. 

La seconda volta guarda la gente che si alza come a dire “ma che stanno a fa’?

La terza vota… si alza pure lei.

E così via, per le volte successive.

Finisse qui, potremmo semplicemente mettere in dubbio la qualità di materia grigia presente nel cervello della paziente, ma l’esperimento va avanti.

Uno a uno, tutti i pazienti (attori) vengono chiamati finché resta solo lei nella sala d’attesa, con la receptionist all’ingresso che probabilmente gioca a Sudoku e non le presta la minima attenzione.

La voce fuori campo del video prepara la suspence.

“Cosa farà ora?” 

“Si alza o non si alza?” 

E, se avesse una mano, bucherebbe lo schermo per raccogliere la tua scommessa.

Non so su cosa punteresti tu. 

Io, se esistesse come opzione, me la giocherei sul “ti prego, dimmi che non si alza”

Che più che una scommessa si rivelerebbe una preghiera disattesa.

Infatti la paziente, al suono della campana, anche se rimasta D A   S O L A…

… Si alza

Allego immagine per gli scettici.

Sorvolo sull’espressione che mi ricorda il vuoto dell’essere dei fidanzati abbandonati sui gradini di Zara a svolgere il compito di reggiborse, mentre si interrogano sul senso dell’esistenza, di cui in quel momento gli sfugge il motivo.

L’esperimento si fa più interessante, e allo stesso tempo peggiora il mio livello di fiducia nelle capacità critiche del genere umano.

Entra un nuovo paziente e quando la tipa al suono della campana si alza, lui la guarda con la faccia del “Mah…Boh”.

Alla seconda volta (questo è un pelo più avanti della ragazza) le chiede “Scusa, ma perché ti alzi?”.

Lei, con l’espressione di chi vuole sprofondare nella sedia realizzando che l’unica sincera risposta sarebbe uno spavaldo “non ne ho la più pallida idea”, dice con tono dimesso:

“Lo stavano facendo tutti prima, e ho pensato che dovessi farlo anche io”.

Ah…” E torna a farsi I fatti suoi.

E vedi allora che era lei il problema!

Calmi.

Non è finita.

Al prossimo tocco di campana, lei si alza, lui la guarda.

E con l’espressione metà complice e metà “mi sento un idiota”… 

…si alza pure lui!

Man mano arrivano altri pazienti e, vedendo i due che si alzano tutte le volte, fanno lo stesso al rintocco del gong.

Questo è l’aspetto per me più interessante: gli attori erano andati via da un pezzo. 

A propagare un comportamento pilotato (di cui si ignora la ragione) è stata la persona inizialmente “vittima” dell’esperimento.

O meglio, vittima del Bias di Conformità.

La ragazza, successivamente intervistata da chi aveva nascosto la telecamera, condivide che vedere tutti fare un gesto l’ha semplicemente indotta a pensare che quel gesto fosse opportuno.

Aggiunge che mentre le prime volte, non alzandosi, si sentiva quella strana, una volta aggregatasi al movimento di massa si è sentita meglio. Faceva parte del gruppo.

Io avevo gli occhi a lemure.

E non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa avrei fatto io. Perché ovvio, facile per me, seduta al PC, dire “sono così brillante, mai sarei caduta in un tranello del genere”.

E finora abbiamo parlato di alzarsi da una sedia e di riconoscere lineette.

In realtà, il Bias di Conformità può fare più danni di quanto sembri al momento di prendere una decisione importante, che va ben oltre la facilità di innescare nuove norme sociali dal nulla.

Ecco uno degli esempi più estremi che te ne possono dare un’idea.

Il Conformity Bias nella Seconda Guerra Mondiale

Dopo la seconda guerra mondiale, moltissimi dei soldati responsabili delle fucilazioni di massa di ebrei nelle loro case e dintorni, hanno sostenuto durante i processi di aver agito seguendo degli ordini.

Questa affermazione dà il via a una serie di ricerche ed esperimenti nati per poter indagare fino a che punto un essere umano può spingersi se sta seguendo gli ordini di qualcuno che riconosce come autorità (vedi gli esperimenti di Milgram).

Ma c’è un altro fattore che è interessante prendere in causa.

Lo storiografo Christopher Browning nel suo libro Ordinary Men: Reserve Police Battalion 101 and the Final Solution in Poland dà un’interpretazione che si è diffusa solo decadi dopo la fine della guerra: 

non solo molti civili e ufficiali tedeschi parteciparono alle fucilazioni di massa, ma lo fecero VOLONTARIAMENTE.

Uno dei casi esaminati, fondamentali per arrivare a queste conclusioni, fu quello della città polacca Józefów: il comandante aveva dato ai membri del battaglione la scelta di non partecipare. 

Chi si fosse rifiutato avrebbe ricevuto altri incarichi. 

Solo un piccolissimo numero di soldati si tirò indietro e anche se l’alternativa restava valida anche per i mesi successivi, la maggior parte degli ufficiali aveva optato per uccidere piuttosto che rifiutare l’incarico e separarsi dai commilitoni.

Secondo Browning, chi aveva scelto di uccidere, lo aveva fatto a causa della “pressione per la conformità” – l’identificazione di base degli uomini in uniforme con i loro compagni e il forte impulso a non separarsi dal gruppo.

L’atto di uscire dalla squadra significava lasciare i propri compagni e/o ammettere di essere troppo debole, codardo o non all’altezza del compito. Caratteristiche che nessuno porta con orgoglio, men che meno i soldati.

Questi tre esempi di esiti del bias di conformità sono talmente diversi tra loro, ma tutti sottolineano quanto le opinioni delle persone influenzano le nostre decisioni.

Se ti stai chiedendo che c’entra tutto sto pippozzo con la tua azienda, la risposta è che la stessa “pressione” psicologica interessa il tuo cliente quando sta decidendo se comprare da te.

La stragrande maggioranza dei tuoi clienti, prima di approdare a una decisione d’acquisto, è influenzata da recensioni, testimonianze e opinioni di persone fidate.

Proprio per questi motivi, è bene prendere atto dell’efficacia del bias di conformità e capire come può venirti in aiuto quando comunichi con i tuoi clienti.

1) Nessuno vuole sapere dall’oste se il vino è buono: usa le testimonianze

Prima ho detto “stragrande maggioranza”, che però non è un numero. 

Tempo fa Marco aveva stilato 20 diverse statistiche per dare un’idea precisa di cosa sia esattamente la “stragrande maggioranza”.

Te ne riporto solo tre per onor di sintesi, ma se le percentuali ti dilettano particolarmente, trovi tutte le altre qui

  • Il 95% delle persone afferma che le recensioni, siano esse positive o negative, influenzano le loro decisioni di acquisto (Wyzowl);
  • Il 90% degli acquirenti che legge contenuti positivi sui clienti ha affermato che questi hanno influenzato le loro decisioni di acquisto (Dimensional Research);
  • testimonianze dei clienti e i casi studio sono i contenuti più efficaci per influenzare gli acquisti (Webdam);

A differenza dell’esperimento di Asch, il tuo cliente non dovrà dare la sua opinione in seguito ad altri 10 che aprono bocca prima di lui. In teoria.

In pratica, sì. 

La sua opinione su di te non si costruirà a partire da un campo neutrale. Quindi spetta a te decidere se mettergli di fronte delle testimonianze o se incrociare le dita che le 10 voci che sentirà prima di decidersi non lo dirottino da un’altra parte.

2) Ricordagli quanta gente già ti ha scelto 

Ci sono due modi in cui puoi scegliere di far sentire il tuo cliente mentre valuta se comprare da te.

Uno è farlo sentire come i soldati spendibili mandati in avanscoperta a testare se il campo è minato.

Te lo sconsiglio, a meno che non hai a che fare con un target di Braveheart amanti del rischio.

L’altro modo è preparare tutto il tuo materiale marketing con l’obiettivo di rassicurare il cliente.

Fagli sapere che se decide di fidarsi, tanti altri lo hanno fatto prima di lui. 

E c’è stato un lieto fine. 

Anzi, meglio ancora se la love story è ancora in corso.

E, per dovere di precisazione, quando gli sfilacci davanti agli occhi il numero di persone che sono contente di te e del tuo servizio, il tuo materiale marketing non deve urlare col megafono:

“Ehi mamma! Guarda quanto sono figo! Guarda! Guarda!”

Dovrebbe sottindere qualcosa di più simile a:

“Tranquillo, so che non hai ancora lavorato con me, capisco che devi fare un atto di fiducia e non è semplice. Queste persone si sono trovate nel punto in cui tu ti trovi ora e gli è andata così. Puoi andare avanti sereno che andrà bene anche a te e sarai felice della tua scelta, proprio come lo sono loro.”

Questo lavoro non lo fanno solo le testimonianze, lo stesso vale per recensioni positive, community, numeri che ti conferiscono autorità ecc. 

Condire il tuo marketing di questi elementi ti mette decisamente sulla strada giusta, ma potrebbe non essere sufficiente.

Anche se impari a mettere in leva questi due punti, il bias di conformità potrebbe sempre agire a tuo sfavore.

E se ha comprato d’impulso perché compravano tutti?

“Finché compra da me, non mi lamento!”

Chi comanda all’interno del nostro cervello è il sistema emotivo che ci porta  verso una decisione.

E se porta a comprare, qualcuno potrebbe dire “tanto meglio così!”. 

In realtà anche di fronte a un acquisto, il bias di conformità potrebbe ancora fare danni.

Prendiamo i tre casi sopra (la paziente dal medico, la cavia del dotto Asch e gli ufficiali nazisti): 

Potrebbe essere che, col senno di poi, qualcuno si sarebbe comportato diversamente.

In altre parole, magari qualcuno pensa di aver fatto una gran cazzata.

C’è un motivo scientifico per cui ci sentiamo deprivati di intelligenza quando ultimiamo alcuni acquisti. 

Quando vengono stimolate delle leve emotive che ci portano a decidere di comprare, alcuni ormoni contenti iniziano a scorrazzare a ruota libera e impediscono alla componente razionale del sistema decisionale di vedere con chiarezza che sta succedendo.

… ma solo temporaneamente. 

quando l’effetto emotivo finisce e i tuoi clienti iniziano a rimuginare sulla decisione presa a mente lucida, arrivano i problemi. 

E le richieste di rimborso pure.

È compito del tuo marketing fare in modo che ciò non avvenga. Per nessun motivo.

Anche in questo caso, hai almeno due modi.

1) La mappa del percorso logico che giustifica l’acquisto 

Il primo è preventivo. Una volta toccate tutte le leve emotive che davvero portano all’acquisto, il cliente deve aver chiari anche i motivi razionali del perché fa davvero bene a:

-comprare;

-comprare da te;

-comprare da te ora.

Facciamo che se il tuo cliente dovesse giustificare a chi porta i pantaloni in casa il brillante motivo dell’acquisto, l’arringa dovrebbe idealmente finire con un applauso di approvazione da parte del coniuge e standing ovation. 

… NON con le valigie sbattute fuori dalla porta e risate alle tue spalle al circolo del golf della domenica.

Il tuo cliente tornerà a ragionare razionalmente. E quando lo farà ormai non c’è nessuno che stia riaccendendo quel desiderio e quella produzione ormonale che lo avevano convinto a comprare.

In quel momento aver preparato tutto il tuo materiale di marketing con una comunicazione che tiene conto di tutti i possibili meccanismi che possono portare a un dietrofront del cliente, farà tutta la differenza tra un cliente felice e uno che pensa di essere stato fregato.

2) Toccata e fuga o relazione seria?

In seguito all’acquisto, a meno che il livello di relazione che aspiri ad avere col tuo cliente sia equiparabile a quello della toccata e fuga, è fondamentale continuare a dedicargli attenzioni, rassicurandolo sul fatto che per te lui non è un mero bancomat.

Il primo modo per rassicurare che non sia stata un’avventura fugace è dare un segno che sei vivo. Tanto per iniziare…

Altro accorgimento è fargli capire che ci tieni davvero a lui, anche se ha già aperto il portafogli.

Esattamente il contrario di quanto accaduto durante una scena a cui ho assistito qualche anno fa.

Protagonista è un resort con check out a mezzogiorno e check in alle 14:00. 

Lavoravo lì e ricordo che dalle 12:00 alle 14:00 l’intero staff delle pulizie viveva nel panico. E anche chi faceva i check in e doveva dire ai clienti arrivati alle 6 di mattina che c’era da aspettare fino alle 14:00. 

Nessuno voleva essere il malcapitato che doveva informare QUEL cliente che alle 14:00 la stanza non era ancora pronta.

Le linee interne in quelle due ore erano generalmente intasate di minacce, ordini, scuse e intimidazioni tra tutti i dipartimenti interessati a che la stanza fosse pronta per tempo.

Quella mattina, per una serie di falle comunicative, un cliente, alle 12:05, non ancora presentatosi per il check out, riceve in stanza due chiamate da due persone diverse (che non si erano parlate) che lo invitano a recarsi in reception. 

Per una serie di disavventurate decisioni e fatalità, anche il ragazzo che doveva preparare la stanza si ritrova in quel frangente a bussare proprio a quella porta per controllare che la stanza fosse effettivamente libera.

In meno di 45 secondi, questo signore – che aveva speso oltre 2.000 euro al giorno nel resort 5 stelle – ha ricevuto ben tre inviti a togliersi dai piedi. 

Ira del pelide Achille a parte, le urla alla reception erano un disco rotto a 110 decibel su quanto sia stato trattato come una mucca da mungere finché c’era latte da prendere.

Ecco, questa è la sensazione che il tuo cliente non deve avere MAI.

Compito del tuo copy è assicurarsene.

Bias ed emozioni possono essere grandi alleati se sai come metterli in leva nel tuo materiale di marketing, ma non puoi fermarti a questo.

Tantissimi hanno capito che fare leva sulle emozioni porta un cliente a comprare, ma mettere la tua comunicazione nelle mani di chi scrive un copy tutto emozioni, promesse mirabolanti e leve sul terrore che “Kubrick, spostate”, può rivelarsi un grave errore.

Il 98% delle volte, quando si parla di vendita e marketing ci si concentra solo su quello che succede PRIMA dell’acquisto, finché il cliente è una mucca ancora da mungere.

Questo approccio potrà farti anche stappare bottiglie nel breve termine, ma creerà un esercito di gente che non sa perché ha comprato da te e che non ha intenzione di ripetere.

Se il tuo materiale scritto invece è stato preparato tenendo conto dell’intero processo decisionale del tuo cliente, quando e se ci sarà un momento di dubbio, lui saprà razionalizzare l’acquisto.

Gli sarà sufficiente ricalcare il percorso logico che hai costruito per lui.

Il cervello umano è talmente complesso e spettacolare che tenere conto dei suoi meccanismi più articolati può essere un labirinto da cui è un incubo uscire o un ingegnoso parco giochi che è uno spasso esplorare.

Per lo staff di Propagando è decisamente la seconda opzione.

Non è un caso se abbiamo deciso di dedicarci a creare le strategie di marketing più efficaci per i nostri clienti basandoci sui bias e sui meccanismi psicologici che regolano i nostri processi decisionali.

Se vuoi che anche il tuo materiale di marketing sia scritto secondo gli stessi principi, ci trovi qui.